I fuochi di Terramorta


<<Controlla la mappa, per favore>> le chiesi.

<<Non va! C’è solo la mappa ma non c’è scritto nulla!>> Giovanna era abbastanza brava con la tecnologia, quindi mi fidavo di quello che mi diceva. Quello che mi agitava un po’ era il suo viso. Aveva assunto uno strano pallore e mi sembrava un po’ preoccupata.

<<Continuo in avanti, prima o poi si sbloccherà!>>. Poi non so se lo dissi più a me o a lei: <<Andrà bene, vedrai!>>

<<Se non fosse stato per quel maledetto albero che interrompeva la strada!>> Disse lei, <<Per non parlare della volpe…>>

<<Si, ma ne usciremo, queste strade sono fatte così, prima o poi portano da qualche parte!>> Provavo ad infondere un po’ di fiducia, ma in effetti doveva essere per forza così!

<<Lì c’è qualcosa>> dissi indicando un cartello stradale malconcio. Rallentai in prossimità del cartello e chiesi a Giovanna di provare a leggere qualcosa, almeno quello che rimaneva della scritta.

<<Terran… no, non sono nemmeno sicura se è una N o una M, è tutto arrugginito e piegato.>>

<<Ok, ma sulla mappa ancora nulla?>>

<<Nulla! Ho provato due secondi fa a ricaricare la pagina, ma nulla!>> disse lei.

Ingranai la prima e continuai in avanti. Adesso la strada era messa un po’ meglio, si vedeva che era stata rifatta da poco, anche perchè il terreno ai lati era stato rivoltato da pochissimo, non c’era un filo d’erba.

Dopo due minuti scorgemmo la prima abitazione, guardai Giovanna e sorrisi: <<Madame, bentornata nella civiltà!>> il sorriso mi si spense subito, quando uno strano rumore sotto di me mi fece tornare alla realtà. Non solo avevo forato una gomma, ma dal rumore metallico avevo rotto anche qualcos’altro. Scendemmo entrambi dalla macchina e non potemmo far altro che constatare la foratura della gomma. 

<<Prendiamo la ruota di scorta!>> Disse Giovanna.

<<No… non è solo la ruota!>>

<<Tutto bene ragazzi?>> Una voce di un uomo anziano interruppe la nostra conversazione. Alzammo la testa entrambi oltre il cofano della macchina e vedemmo questo signore che stava sull’uscio della prima casetta del paese. Era un vecchietto dall’aria simpatica ma che a prima vista dimostrava più anni di quanti realmente ne aveva.

<<Buongiorno!>> Dissi <<Penso, che oltre alla ruota sia partito anche il semiasse…>>

L’uomo si portò la mano al viso e imprecò qualcosa di incomprensibile.

<<Ci dispiace>> continuai << Vorrei solo spostarla da qui e chiamare un meccanico.>>

<<Lascia stare!>> Disse il vecchio. <<Lì non da fastidio a nessuno! Entrate in casa, mia moglie vi preparerà un buon caffè e poi vedremo cosa fare>> E con la mano indicò l’uscio di casa.

Giovanna prese la borsa dal sedile e poi tornò al mio fianco. Le diedi la mano e insieme entrammo nella casa.

Ad attenderci c’era la moglie, una signora davvero minuta che ci accolse con un bel sorriso.

<<Ragazzi, ci dispiace molto, le strade per arrivare qui sono una rovina. Ma come avete fatto ad arrivare fin qui? Non ne ho proprio idea! Siamo così isolati…>>

Nel frattempo il marito della signora ci fece strada fino alla cucina che fungeva da stanza principale. Ci fece accomodare intorno ad un bel tavolo di legno con quattro sedie.

<<Vi lascio all’ottimo caffè di mia moglie, io vado a chiamare il meccanico del paese e vediamo come possiamo aiutarvi>> E dicendo ciò, prese un berretto che si trovava nei pressi dell’ingresso e uscì di casa.

La moglie aveva già messo la caffettiera sul fuoco e ci guardava con uno sguardo un po’ indagatore e un po’ imbarazzato.

Vide Giovanna che armeggiava col cellulare e disse <<Purtroppo quello non funziona qui! Puoi anche metterlo in borsa e dimenticartelo.>> Si girò verso la cucina e spense il gas. <<Godetevi questo caffe! Non per vantarmi, ma penso sia il migliore del paese, almeno così mi dicono gli altri!>>

<<Come si chiama il paese?>> Chiesi io per pura curiosità.

Lei si fermò un attimo con la caffettiera a mezz’aria, poi continuò a versare il caffè nelle tazzine e disse <<C’era il cartello all’inizio del paese, adesso non è più tanto leggibile lo so…>> e così dicendo terminò di versare il caffè. Sistemò le tazzine su un vassoio e le portò al tavolo. Si sedette anche lei e continuò: <<Noi lo chiamiamo semplicemente “il paese”, ma si chiama Terramorta>> Fece una risatina un po’ forzata e poi continuò <<Che strano nome eh? Non mi chiedete perchè si chiama così…>> Distolse lo sguardo e fece spallucce. A me sembrò più che avesse paura di rivelarci il vero motivo per cui si chiamasse così ma non lo diedi a vedere. Come al solito, fu Giovanna a togliere la signora dall’imbarazzo: <<E’ davvero ottimo il caffè, signora…?>>

<<Adelina! Si, chiamatemi solo Adelina! Mio marito si chiama Giuseppe. Siamo nati entrambi qui!>>

<<Si, squisito signora Adelina!>> Aggiunsi io.

<<Ah! Solo Adelina, ricordati!>>

<<Io mi chiamo Giovanna e lui è Walter, Ci siamo sposati un anno fa!>> Terminò lei le presentazioni.

<<Ma come vi siete trovati qui? Non siamo mica di passaggio!>> chiese Adelina

<<Eh, >> dissi io <<in realtà non l’abbiamo capito bene. Stavamo andando al nord, verso Perugia, da alcuni parenti di mia moglie. Solo che ad un certo punto siamo dovuti uscire dall’autostrada a causa di una deviazione. Poi abbiamo preso delle stradine secondarie finchè non abbiamo trovato un albero a sbarrarci la strada.>>

<<Poi, mio marito ha deciso di lasciare la strada principale e seguire una stradina di campagna solo per seguire per un centinaio di metri una volpe che camminava sul ciglio della strada…>> E mi guardò con un viso che non aveva bisogno di nessuna interpretazione.

Adelina rise un po’ e disse: <<Eh, la natura a volte fa brutti scherzi, ma vedrete che tutto si metterà a posto!>>

Qualche istante dopo tornò il signor Giuseppe, la porta era rimasta aperta come si usa nei piccoli paesi, in cui, l‘unico pericolo di intrusione è quello degli animali selvatici.

<<Ragazzi, il meccanico arriverà tra una decina di minuti. Com’è stato il caffè di mia moglie?>>

<<Ah Giuseppe, i ragazzi si chiamano Giovanna e Walter! Sono molto simpatici e hanno apprezzato molto il mio caffè!>>

Il signor Giuseppe fece una piccola risata di soddisfazione, posò il cappello e si tolse la giacca, poi venne ad accomodarsi anche lui al tavolo.

<<Allora?>> disse Giuseppe <<Sicuramente mia moglie vi avrà già chiesto come vi siete trovati qui, perchè è davvero strano! Qui non viene mai nessuno e nessuno lascia il paese…>> Il viso dei due si incupì per un attimo, ma poi lui continuò con un sorriso un po’ forzato: <<Eh si, siamo nati qui e siamo rimasti affezionati al nostro paese!>>

<<E’ lontano il meccanico?>> Chiesi io.

<<No, non troppo, verrà presto, era un po’ indaffarato con un altro cliente>>

<<Adelina, diamo qualcosa da mangiare ai nostri amici! Certo nulla sarà buono come il suo caffè ma è comunque un’ottima cuoca! Abbiamo dei biscotti e un dolce, cosa preferite?>>

<<No grazie!>> Disse Giovanna, <<io non potrei esagerare per lui…>> e con la mano accarezzò il suo pancione appena pronunciato.

I due vecchietti si irrigidirono all’istante, poi Adelina con la voce un po’ tremula disse <<Oh, che bello! Quanto manca?>>

<<Ancora tre mesi!>> Disse sorridendo Giovanna.

<<Ahh!>> Fece Giuseppe e sembrarono entrambi più sollevati da questa notizia.

<<Che fate nella vita ragazzi?>> Chiese Giuseppe anche per cambiare il discorso.

<<Io sono quasi giornalista, mi occupo di cronaca e un po’ di gossip>> dissi.

<<Io lavoro in una tabaccheria, ma non è mia…>> disse Giovanna.

<<Sai Walter>> disse Giuseppe <<siamo stati quasi colleghi! Io insegnavo italiano, storie e geografia, qui e al paese accanto. Ma nel tempo libero scrivevo anche per i giornali locali!>>

<<Ah grande!>> dissi io.

<<Io sono sempre stata casalinga invece!>> Disse Adelina.

<<Si, ma la migliore che potessi trovare!>> Disse Giuseppe e le diede un grosso bacio sulla fronte.  

Qualche minuto dopo bussarono alla porta, Giuseppe andò ad aprire ed entrò un ragazzo non troppo più grande di me, si chiamava Fabio ed era il meccanico del paese. Era vestito con una tuta abbastanza sporca di grasso, un berretto con la visiera e, nella cintola, dei guanti da meccanico che in origine dovevano essere di un grigio topo ma adesso erano quasi del tutto neri. 

<<Ragazzi, ho già dato un’occhiata fuori, ma…mi dispiace, non è solo la ruota…>> disse lui con aria davvero dispiaciuta.

<<Il semiasse?>> Chiesi io.

<<Eh!>> Rispose lui.

Fabio aprì le braccia rassegnato e poi disse <<Se avete il carroattrezzi gratis con l’assicurazione, vi conviene chiamarlo perchè altrimenti ci vorrà qualche giorno>> poi continuò <<Se non l’avete, vi consiglio di non chiamarlo, perchè per venire qui vi costerà un occhio della testa!!>>

Annuii con la testa e dissi: <<Purtroppo non l’abbiamo! La macchina è vecchiotta e non mi conveniva troppo economicamente…>>

<<Vi capisco ragazzi>> disse Fabio <<Allora che faccio? me la porto in officina?>>

<<Si, grazie! Ma adesso ci serve anche una stanza di un hotel in zona…>> Dissi io e Giovanna confermò facendo ampi gesti con la testa.

<<No!>> Disse Giuseppe. <<Qui non ci sono nè hotel nè affittacamere, ma non ce n’è bisogno! Abbiamo una stanza e un bagno per gli ospiti qui!>>

<<No! Grazie! Siete già stati gentilissimi!>> Disse Giovanna <<Non vogliamo darvi altro disturbo!>>

<<Ma nessun disturbo cara mia!>> Disse Adelina, <<poi nel tuo stato…>>

<<Oddio!>> Disse Fabio il meccanico, togliendosi il cappello. Giuseppe fece dei cenni con la mano per rassicurarlo e poi aggiunse <<Fermatevi qui almeno per stanotte, domani Fabio ci dirà quanto tempo ci vuole e decidete cosa fare, ok?!>>

Io e Giovanna ci guardammo e finimmo per accettare la proposta di Giuseppe.

Adelina fece qualche piccolo salto di gioia e andò ad abbracciare Giovanna. <<Grazie ragazzi, prendete i vostri bagagli dall’auto e fate come se foste a casa vostra! Raramente abbiamo ospiti, ma vi troverete benissimo qui!>>

Lasciammo Giovanna e Adelina a casa e andammo a prendere quei pochi bagagli che avevamo. Lasciai le chiavi dell’auto a Fabio e, lui mi disse che sarebbe tornato tra una decina di minuti con una ruota di scorta per far fare quattrocento metri alla macchina fino all’officina. Lo ringraziai e sfilai dal portafogli 50 Euro come caparra, lui rifiutò categoricamente dicendo <<Non posso accettare soldi in anticipo da un amico di Giuseppe!>>

Io e Giuseppe rientrammo in casa e lui mi fece accomodare nella stanza in cui Giovanna e Adelina erano a chiacchierare. Appena ci videro entrare, Adelina disse <<Questa sarà la vostra camera almeno per stanotte!>> Aprì le braccia e fece un giro completo su se stessa, mostrando la camera con soddisfazione.

<<Il bagno è lì>>, indicando alla sua destra, <<adesso vi porto degli asciugamani puliti!>>

<<Grazie mille signori!>> Dissi con tutta sincerità <<Non potevamo capitare in una famiglia migliore!>> I due coniugi si abbracciarono tra loro e ad Adelina scappò via anche una lacrima.

Ci lasciarono soli in stanza per sistemarci, c’era devvero tutto in camera: un armadio, un tavolino con una sedia, uno specchio e naturalmente un letto matrimoniale con i comodini.

Alle pareti c’era qualche stampa d’epoca che raffigurava il paesino e qualche quadro.

Mi misi a guardare le varie stampe e chiesi a Giovanna: <<Ma tu ci vedi qualcosa di strano in queste stampe?>> Lei guardò in maniera distratta, poi disse <<Non so, adesso non ci vedo nulla. Ho un po’ di fame>>. 

<<Si anche io! Ci sarà un ristorante o una trattoria qui?>> chiesi.

<<Spero di si, altrimenti mi metto a cucinare con Adelina! Sono davvero brave persone!>> Disse lei con convinzione.

<<Vado di là a chiedere?>> chiesi

<<Si, ma con tatto, mi raccomando!!>>

Rimasi anche un po’ stupito da come mi trattava Giovanna, però riuscivo a mettermi nei suoi panni, lei aveva perso i suoi genitori quando era molto piccola e non aveva mai conosciuto l’affetto dei nonni.

Andai nella stanza e lì trovai lui che tagliava dei pomodori e guardava la televisione, mentre lei era ai fornelli.

Si girarono all’unisono e mi sorrisero. Ricambiai il sorriso e chiesi: <<Per caso c’è un ristorante o una trattoria nei paraggi? Io e Giovanna vorremmo ricambiare la vostra ospitalità offrendovi una cena…>>

Giuseppe scoppiò a ridere! <<Walter, ma secondo te qui c’è una trattoria?? Qui le feste e i ricevimenti si fanno in casa! Non c’è nessuno di passaggio qui!>> Poi con la mano indicò prima i pomodori che stava tagliando e poi i fornelli e disse <<Stiamo preparando noi qualcosa! Sarete nostri ospiti anche a cena! Per noi è un onore!>>.

Alle mie spalle spuntò Giovanna che aveva ascoltato tutto il discorso e subito si mise al fianco di Adelina dicendo <<Saremo vostri ospiti solo se vi fate aiutare nella preparazione! Non sarò brava come Adelina ma me la cavo bene!>>

La serata passò tranquilla, la cena fu ottima e i due vecchietti furono di compagnia anche se erano un po’ restii a parlare di loro e del paese.

Dopo cena, aiutammo i due coniugi a mettere la stanza in ordine e poi ci ritirammo nella nostra camera dopo avergli dato la buona notte.

Eravamo nel letto, entrambi un pizzico pensierosi, fu lei a rompere il silenzio. <<Però c’è qualcosa di strano! Non solo per il fatto che tutti si spaventano perchè sono incinta…>>.

<<Ma è perchè non ci saranno ospedali vicini>> dissi io pescando l’idea più ovvia dalla mia mente.

<<Poi ho notato una cosa mentre cucinavo! Ho aperto il frigorifero e tutte le verdure, la frutta e la carne erano nelle confezioni dei supermercati!!!>>

<<Quindi?>> chiesi io senza pensarci troppo.

<<Walter! Ma hai mai visto in un paesino di campagna la gente che compra al supermercato la roba che normalmente si coltiva in campagna??>> Disse lei con un pizzico di nervosismo.

<<Vero! Non ci avevo pensato!>>

<<Cos’è che avevi notato tu nelle stampe?>> mi chiese Giovanna.

<<Non lo so! C’era qualcosa… o forse, mancava qualcosa!>> Risposi io.

<<Accendi la luce! Walter>>

<<Non ora Giovanna, domani mattina, ok?>>

<<Vabbè buonanotte!>> E mi diede un bacio.

Io risposi al bacio e poi le diedi un bacio sulla pancia.

La mattina dopo, ci svegliammo alle 8, nella stanza accanto sentivamo già qualche piccolo rumore, i due vecchietti erano già svegli.

Aspettai Giovanna che faceva la doccia e nel frattempo misi a posto un po’ il letto e i vestiti del giorno prima.

Lei uscì dalla doccia e mi disse <<Vai tu, altrimenti facciamo tardi, continuo io a mettere in ordine>>.

Il bagno anche era con tutti i comfort, qualche pezzo un po’ vecchio e sicuramente inutilizzato c’era, ma era comunque un bel bagno. L’acqua era calda al punto giusto ma comunque non mi andava di perdere troppo tempo e uscii abbastanza presto dalla doccia.

Trovai Giovanna quasi del tutto vestita, in piedi davanti ad una delle stampe. Era come immobilizzata. Mi avvicinai pian piano, quasi per non spaventarla, le poggiai una mano sulla spalla e lei trasalì.

<<Scusami, non volevo spaventarti!>>

<<L’erba!>> disse lei.

<<L’erba? Hai fumato?>> Sorrisi e dissi <<Non mi sembra il caso, soprattutto nel tuo stato!>> e feci un cenno al pancione.

<<Che scemo che sei!!>> e ridemmo insieme. Poi disse indicando la prima stampa <<Guarda, non c’è un singolo filo d’erba qui e in nessuna delle altre stampe!>>

<<Terramorta!>> Esclamai io.

<<E questo spiegherebbe anche la roba del supermercato!>> continuò lei.

<<Ma è impossibile! Non voglio crederci!>> dissi io <<Ci stiamo suggestionando! Le stampe raffigurano quasi tutte la piazza principale, può essere che quel poco di terreno che si vede, viene utilizzato per altro e quindi non ci fanno crescere l’erba…>> Dissi io con poca convinzione.

<<Facciamo colazione e giriamo un po’ per il paese, ok?>> Chiese lei.

<<Certo! Una volta che siamo qui, giriamo un po’!>> Risposi io. <<Vedrai che è tutto normale!>>

Terminammo di vestirci e andammo nella cucina dove c’erano i due vecchietti ad attenderci.

<<Buongiorno!>> Esclamammo all’unisono. 

<<Buongiorno miei cari!>> Disse Adelina. Mentre Giuseppe ci salutava con ampi gesti della mano e con un bel sorriso sulle labbra.

<<Avete dormito bene, ragazzi?>> Ci chiese lui.

<<Certo Giuseppe!>> Disse Giovanna.

Adelina posò un vassoio zeppo di biscotti e dolcetti sul tavolo e disse <<Accomodatevi, nel frattempo vi riscaldo del the? Del lattè? Del caffè? Cosa preferite?>>

<<Per me va bene un caffe? Anche per te Giovanna?>> chiesi io. 

<<Si, si! Grazie!>> Rispose lei.

Facemmo colazione insieme a loro, Adelina e Giuseppe presero una tazza di latte con una goccia di miele e qualche biscotto farcito, noi oltre al caffè prendemmo un paio di dolcetti alla pasta di mandorle. Erano abbastanza buoni, ma in effetti, come aveva ipotizzato Giovanna, non erano prodotti fatti a mano.

Fui io a spezzare il silenzio: <<Adesso togliamo il disturbo per un po’ di tempo, facciamo un giretto per il paese! Ci consigliate qualcosa da vedere assolutamente?>>

I due si guardarono negli occhi, poi fu Adelina a dire: <<Ma qui non c’è nulla! Che volete guardare? Non è meglio restare qui? Siete anche in compagnia…>>

<<Ma no, non vogliamo disturbare!>> Disse Giovanna <<Andremo un po’ in giro, ma immagino sia piccolo il paese, quindi tra poco saremo di ritorno!>>

<<Eh si>> Disse Giuseppe <<Purtroppo il paese non ha nulla da offrire ai turisti! Mi dispiace, ma rimarrete delusi dal vostro giro!>> e così dicendo alzò le braccia in segno di desolazione.

<<Vabbè ma noi non siamo esigenti!>> sdrammatizzai io.

Così ci congedammo da loro e uscimmo di casa.

C’era un bel sole, ma si stava comunque abbastanza freschi grazie ad un lieve venticello.

L’unica strada che c’era, doveva portare per forza al centro del paese, e ci incamminammo mano nella mano in quella direzione.

Le case sembravano tutte abbastanza simili, ma la nostra attenzione era rivolta soprattutto oltre i marciapiedi che davano sui terreni. Non cresceva un filo d’erba nè sul terreno e nè sui muri o sui tetti. Nulla!

<<Ripeto, ci stiamo suggestionando!>> Dissi con sempre meno convinzione.

<<Vedi che non c’è nemmeno un negozio?>> disse Giovanna.

<<Ma non ne hanno bisogno, forse!>>

<<Hai mai visto un paesino di campagna che non ha un forno e un bar??>> Chiese lei quasi spazientita.

<<No, ma può significare poco però…>>

<<Walter, smettila! Non ci credi nemmeno tu a quello che dici!>>

Vedemmo fuori dall’uscio di casa, una donna di mezza età che spazzava il marciapiede davanti a sè.

<<Buongiorno signora!>> la salutai e le chiesi <<Mi sa dire dove è il bar?>>

<<Buongiorno, ma chi siete voi? Non vi ho mai visti qui a Terramorta!>>

<<No, non siamo di qui! Abbiamo avuto un problema con la macchina e adesso siamo a casa di Giuseppe e Adelina!>> e con la mano indicai vagamente l’inizio del paesello.

<<Ah!>> disse la signora <<Ho capito>> e sorrise. Poi vide la pancia di Giovanna e si fece tre volte il segno della croce mormorando qualche scongiuro.

<<Che c’è che non va con la mia pancia?>> Mi chiese Giovanna a bassa voce.

<<Non penso ci sia qualcosa che non va, adesso glielo chiedo!>> Mi rivolsi alla signora che adesso stava facendo qualche passo indietro con la scopa in mano.

<<Signora, mi scusi, perchè ha fatto il segno della croce?>> chiesi con cortesia, ma avevo un certo timore per la risposta.

<<Ma niente! E’ solo che un bambino non dovrebbe nascere qui! Il paese non offre nulla!>> Disse lei, poi continuò <<Ma voi mica vi trattenete qui?>>

<<No no!>> disse Giovanna <<Il tempo che ci riparano la macchina!>>

<<Fabio è mio nipote!>> Disse la signora sorridendo! <<E’ proprio un bravo ragazzo!>>

<<Ah, bene!>> Dicemmo noi senza una vera ragione, se non per pura educazione.

<<Comunque, mi dispiace, ma il bar è chiuso da tanti anni! Qui non ne abbiamo bisogno!>> e alzò le spalle. Poi disse <<Adesso, se permettete, rientro! Buona giornata!>>

Salutammo la signora e continuammo un po’ il nostro cammino.

Arrivammo all’officina di Fabio, lui era a lavoro sulla nostra auto, mentre un ragazzo abbastanza più giovane di lui era occupato a pulire una marmitta di uno scooter.

Appena ci vide, fece un ampio saluto con la mano e poi fece cenno di avvicinarsi.

<<Walter o ricordo male?>> chiese.

<<Si, esatto, ricordi bene!>> risposi io.

<<Il braccetto del semiasse è andato e si deve cambiare. Li ho ordinati, perchè li devo cambiare entrambi e dovrebbero arrivare tra domani e dopodomani. La gomma già l’ho cambiata. Per fortuna il resto è a posto!>>

<<Grazie Fabio, mi sai dire più o meno quanto è la spesa?>> chiesi io.

<<Purtroppo non posso chiedervi meno di 300 Euro…>> disse lui rassegnato.

<<No, tranquillo! Anzi pensavo di più! Solo che… una banca per prelevare i soldi? C’è da queste parti?>>

<<Certo! Proseguite su questa strada, arrivate in piazza e sulla destra trovate la banca! Oddio, c’è solo il bancomat! Lo sportello apre una volta a settimana, solo il Venerdì!>>

<<Grazie Fabio!>> disse Giovanna e ci congedammo da lui.

Pochi minuti dopo, arrivammo alla piazza, anche a quell’ora del giorno non c’era quasi nessuno. Dissi a Giovanna <<Prelevo 400 Euro, con me ho un altro centinaio di Euro, dovremmo farcela!>> Lei annuì e mi incamminai verso il bancomat. Ci misi un minuto esatto a completare l’operazione e tornai verso Giovanna rimettendo il portafogli in tasca.

<<Torniamo a casa per favore?>> Chiese Giovanna <<Mi inquieta un po’ questo paese!>>

<<Anche a me, amore>> La presi per mano e facemmo il percorso a ritroso.

Non parlammo molto, forse non alzammo nemmeno lo sguardo da terra, eravamo un po’ preoccupati.

Rientrammo a casa di Giuseppe e Adelina, aiutammo entrambi a cucinare e facemmo qualche chiacchiera con i due, ma evitammo volutamente tutti i discorsi relativi a Terramorta.

Alle 11:30 in punto sentimmo tre o quattro fuochi artificiali esplodere nel cielo. Giovanna avvicinandosi alla finestra chiese: <<C’è una festa in paese?>>

<<No, che festa? Anzi, è per il povero Andrea che è morto!>> disse Giuseppe.

<<Sparate i fuochi per un morto?>> chiesi io.

<<Tradizioni…>> e fece spallucce.

Non sembrava aver voglia di dare altre spiegazioni e io non gliene chiesi.

Dopo un’oretta ci sedemmo a tavola e mangiammo un ottimo pranzo. Adelina era davvero una cuoca formidabile.

Alla fine del pranzo, aiutammo i due vecchietti a mettere la stanza in ordine e poi ci ritirammo nella nostra stanza.

Ci mettemmo un po’ sotto le lenzuola, ci scambiammo qualche effusione e poi ad un certo punto lei disse <<Nel pomeriggio voglio passare per la chiesa, penso di aver capito dove si trova!>>

<<Perchè proprio in chiesa?>> chiesi io per curiosità.

<<Di solito nelle chiese si trova un po’ della storia del paese, almeno nei quadri!>> rispose lei.

<<Hai ragione! Non ci avevo pensato!>>

Passammo un po’ di tempo sotto alle lenzuola e poi ci alzammo. Erano le quattro passate.

Salutammo i simpatici vecchietti e dicemmo loro che facevamo un giro in paese.

Uscimmo in strada e andammo diretti verso la piazza della città, poi continuammo oltre e dopo un paio di minuti di cammino arrivammo davanti alla chiesetta. Era molto piccola ma tutto sommato graziosa. Sono stato sempre una frana a scuola in storia dell’arte, non saprei dire che stile era, ma aveva sicuramente uno stile ben definito.

Entrammo con molta cautela, non eravamo i soli in chiesa. Alle panche della navata centrale c’era qualche vecchietta che cantava qualche litania. Anche l’interno della chiesa era nello stesso stile della parte esterna e, come aveva immaginato Giovanna, c’era qualche quadro.

Erano tutti i classici quadri che si possono trovare in una chiesa. Io e Giovanna rimanemmo un po’ delusi. A interrompere la nostra ricerca fu una voce: <<Sia lodato iddio, facce nuove nella nostra chiesa>> Ci girammo di scatto nella direzione da cui proveniva la voce e, il prete che ci stava venendo incontro si bloccò all’improvviso. Poi con passo lento e silenzioso continuò ad avvicinarsi. 

<<Ragazzi miei, è la prima volta che vi vedo. Come siete arrivati qui?>> chiese il giovane prete.

<<Salve, siamo qui solo di passaggio, abbiamo avuto un problema alla macchina e ci siamo fermati qui>> Dissi io.

Mentre parlavo, un quadro sembrò attirare l’attenzione di Giovanna che si avvicinò particolarmente ad esso.

Il prete parve un po’ sollevato dalle mie parole e poi rivolto a Giovanna disse: <<Signorina, non voglio sembrare impertinente, ma posso chiederle quanto manca al lieto evento?>>

Conoscevo Giovanna da molto anni e quel sorriso che mi fece significava tante cose, ma soprattutto intesa! In quel contesto, poteva passare come un “reggimi il gioco” e così feci.

<<Manca pochissimo!>> Disse Giovanna accarezzandosi la pancia.

A me non andava troppo il fatto di dire le bugie ad un prete e non avevo ancora capito il senso di quella piccola menzogna, ma abbracciai teneramente Giovanna per dare maggiore credibilità alla cosa. Il prete sbiancò un attimo e poi disse: <<Ragazzi, la vostra creatura non deve assolutamente nascere qui!>>

<<Perchè?>> Chiesi io.

<<No, dovete andare via! Non è un posto per un bambino, assolutamente! Oddio mio!>> E così dicendo congiunse le mani in preghiera e guardò verso l’alto.

<<Che c’è di strano in questo paese?>> Incalzò Giovanna.

<<Niente, niente! Ma è un mio consiglio! Adesso devo andare!>> e si girò per allontanarsi.

<<Padre!>> Disse Giovanna <<Mi sa dire che cos’è questo conto alla rovescia che c’è sui quadri?>>

Il prete rimase immobile per qualche istante. poi si girò lentamente verso di noi, era sicuramente più sudato di prima: <<Quale conto alla rovescia signorina?>>

<<Qui, vede?>> e indicò il quadro <<C’è scritto 1629 e tra parentesi -931>>.

Si spostò alla sua sinistra fino al quadro seguente: <<E qui: 1730 e tra parentesi -830. Perchè?>>

Il prete sorrise con un po’ di imbarazzo che però riuscì a coprire bene: <<Signori miei>> e allargò le braccia << E’ uno dei misteri di Terramorta! Nessuno ha mai capito cosa fossero quelle date, ma vedete, gli artisti sono delle persone un po’ bizarre!>>

<<Mah>> dissi io <<basterebbe sapere solo perchè è così importante il 2560!>>

<<Eheheh! Caro mio, vedo che è bravo con la matematica! Ma noi poveri mortali che viviamo nell’anno domini 2020 cosa ne possiamo mai sapere?>> Fece una pausa e poi disse <<E adesso, ragazzi miei, vi devo proprio lasciare! La chiesa è piccola ma ci sono solo io a gestirla e oggi ho da fare molte cose! Buona giornata!!>> e si allontanò con lunghi passi.

<<Usciamo!>> disse lei e così facendo mi prese per mano e si diresse verso la porta di ingresso.

<<Era proprio necessario dire una bugia ad un prete?>> chiesi.

Lei rise e chiese <<Che c’è? Adesso sei diventato cattolico e praticante?>>

<<No vabbe’…>> risposi vagamente.

<<Era a fin di bene! Ammettilo!>>

Annuii e poi dissi <<Adesso perchè siamo usciti?>>

<<Di solito, in questi paesi, nei pressi della chiesa c’è anche il cimitero!>>

<<Si! E… cerchiamo qualcosa in particolare?>> chiesi io.

<<Risposte!>>

Ci incamminammo nel vicoletto accanto alla chiesa e in pochi minuti arrivammo alle spalle di essa. Da questo lato terminava la parte abitata del paese, il terreno era tutto incolto e privo d’erba quasi a vista d’occhio. C’era una parte recintata alle spalle della chiesa, il cancello era chiuso da un grosso catenaccio che apparentemente non veniva aperto da tantissimo tempo. Guardai oltre al cancello e forse sì, c’era qualche lapide abbattuta e qualcuna ancora in piedi.

<<Lì!>> Giovanna indicò un punto imprecisato davanti a noi. <<Il muro è quasi crollato, possiamo entrare da lì>>

<<Giovanna, ma non è che stiamo esagerando un po’?>> chiesi io.

<<Ma non è pericoloso!>> disse lei.

<<Ho capito, ma se è chiuso ci sarà una ragione!>>

<<E’ solo che non è più utilizzato!>>.

<<Ah, e questo ci dà il permesso di entrare?>>

<<Walter, che pesante che sei!! Mi vuoi far credere che non sei mai entrato in una parte dove non potevi entrare?>>

<<No! Lo sai bene!>> E ridemmo insieme.

Entrammo tra le pietre crollate, in effetti non trovammo nessuna difficoltà

Controllammo prima le lapidi che erano in piedi, erano tutte molto sbiadite e consumate. Riuscimmo a vedere solo pochissime date, ma nessuna era più recente del 1512.

<<Quelle crollate dovrebbero essere ancora più antiche immagino!>> ipotizzai io.

<<Si!>> Rispose lei.

<<Ci sarà sicuramente un altro cimitero>> dissi io <<Uno più nuovo!>>

<<Con tutto questo spazio a disposizione?>> Chiese Giovanna

<<Non so che dirti! Forse è stato sconsacrato per qualche motivo e quindi hanno dovuto trovare un altro posto!>>

<<Vabbè usciamo!>> disse lei.

<<Sono le 6 e mezza, torniamo a casa?>> Chiesi io.

<<Si, anche perchè immagino che i vecchietti non mangeranno troppo tardi!>>

<<Giusto!>> La presi per mano e le diedi un piccolo aiuto a scavalcare le pietre crollate. Ci incamminammo sulla strada del ritorno. Incontrammo poche persone, ma tutti ci salutavano con un misto di sorpresa e incredulità.

All’officina di Fabio trovammo anche una persona inaspettata.

<<Salve Fabio!>> e con un mezzo inchino quasi sardonico salutai anche il prete che avevamo lasciato poco prima.

<<Mi avete tirato uno scherzetto davvero simpatico! Mi avete detto che che mancava poco alla nascita della creatura, ma non era così!>>

<<Mi scusi padre! E’ che sono un po’ ansiosa, e tre mesi mi sembrano pochissimi!>>

<<Figuratevi ragazzi! Andrà tutto bene! Fabio mi ha detto che la vostra macchina sarà pronta al massimo per domani all’orario di pranzo!>> e Fabio confermò con ampi gesti della testa.

<<Che bello! Grazie!>> Dissi io.

Salutammo Fabio e il prete e raggiungemmo la casa di Adelina e Giuseppe.

Lei era seduta a tavola a guardare la televisione. Lui era nella loro stanza, sentivo il ticchiettio tipico di una macchina da scrivere.

<<Buonasera Adelina, Giuseppe è al lavoro?>> chiesi

<<No, no, ogni tanto scrive qualcosa, la passione non va mai via!>>

<<Lo so Adelina! Vi svelo un segreto, il mio sogno sarebbe quello di scrivere un libro, o perchè no, forse solo un racconto!>>

Spuntò Giuseppe dalla stanza. <<Caro Walter, è un po’ il sogno di tutti i giornalisti! Lo so bene io!>> Finì di piegare quelli che sembravano 3 o 4 fogli scritti a macchina e se li ficcò nella tasca del suo pantalone. Poi continuò <<Ma tu sei giovane, hai ancora molto tempo!>> E mi fece un occhiolino di intesa. 

Ci sedemmo tutti e quattro a tavola. Giuseppe mi raccontò qualche aneddoto di quando insegnava e Adelina e Giovanna parlarono del più e del meno ma a quanto riuscii ad intendere io, parlarono soprattutto di cucina.

Dopo un’oretta ci mettemmo a cucinare, io feci abbastanza poco e così per chiacchierare dissi <<Domani prima di pranzo Fabio ci darà la macchina…>>

I due vecchietti si fermarono un attimo, poi fu Adelina a parlare: <<Ragazzi, voi dovete tornare alle vostre vite, però ci avete rallegrato queste poche giornate..>> le ultime parole le disse quasi piangendo, poi con una piccola risata disse <<E’ la cipolla!>>

Scoppiammo tutti a ridere e Giovanna la strinse forte a sè in un abbraccio.

La cena fu squisita forse ancora più di quella della sera precedente. Rimanemmo un po’ a chiacchierare mentre sistemavamo la stanza e poi andammo a dormire.

A letto ci dicemmo poche parole, ci baciammo per quasi tutto il tempo prima di addormentarci mano nella mano.

La mattina dopo ci svegliammo poco dopo le 8 e dopo esserci lavati e vestiti mettemmo a posto tutte le valigie, pronti per la partenza che sarebbe avvenuta da lì a poche ore.

Facemmo colazione con i due vecchietti, ci scambiammo qualche parola e guardammo insieme un po’ di televisione, non avevamo tanta voglia di uscire e fummo interrotti solo da qualcuno che bussò alla porta. Era Fabio il meccanico.

Fabio entrò, si tolse il cappello e disse <<Buone notizie! Alle 11 la macchina sarà pronta! E’ come nuova! Ha anche la benedizione di Don Luca!>> e sorrise.

<<E’ tra un’ora!>> dissi io!

Fabio controllò il suo orologio e confermò con la testa.

<<E’ stupendo! Grazie!>>

<<Allora ci vediamo tra poco.>> E così dicendo uscì di casa.

Rimasero a chiacchierare ancora per un po’ di tempo, poi fu Giuseppe ad interromperli

<<Walter, vogliamo andare a prendere l’auto? Ti accompagno io!>>

<<Grazie Giuseppe!>> e mi alzai dalla tavola.

Lui prese il solito berretto e con un cenno della testa si congedò dalla moglie e da Giovanna.

Ci incamminammo per la stradina che ormai conoscevo bene, avrei voluto fare mille domande ma non volevo spezzare quel silenzio. Sono sicuro che Giovanna stava facendo di meglio con Adelina e così mi limitai a dire <<Giuseppe, tu e tua moglie siete davvero delle belle persone! Vi ringrazio tanto, anche a nome di Giovanna!>>

<<Lascia stare Walter, noi siamo gente molto semplice! Non abbiamo figli, non abbiamo molti parenti, ma ci accontentiamo di quel poco che questo paese ci da! Non possiamo fare altro!>>

<<Avete mai pensato di trasferirvi? Magari più vicino ai vostri parenti?>> Chiesi.

Lui fece un cenno con la mano come per dire “Dimentica quello che hai appena detto”, poi disse <<Tutto a suo tempo! Capirete presto ragazzi!>> Alzo lo sguardo e disse <<Ah ecco la tua macchina! Nuova fiammante!>>

Mi fermai a chiacchierare qualche minuto con Fabio e col suo giovane aiutante riguardo al lavoro da loro eseguito, mentre Giuseppe gironzolava attorno alla macchina guardando la carrozzeria e gli interni.

Alla fine ci accordammo per 380 Euro, era un prezzo favoloso rispetto al lavoro fatto! Diedi loro i soldi e li ringraziai tanto.

<<Su Giuseppe, salta a bordo!>> dissi.

Giuseppe si mise al mio fianco con un po’ di difficoltà dovuta all’età e partimmo in direzione della sua casa. La macchina andava perfettamente!

Sull’uscio di casa c’erano Giovanna e Adelina, dietro di loro c’erano già i pochi bagagli che avevamo con noi. Parcheggiai davanti alla casa e scendemmo entrambi dalla macchina.

Giuseppe disse <<A quanto pare avete deciso di levare le tende, ragazzi miei!>>

<<Si!>> disse Giovanna, <<però… se Walter è d’accordo… io avrei preso una decisione!>> e dicendo così si toccò la pancia. I due vecchietti si guardarono negli occhi con un pizzico di preoccupazione ma poi Giovanna li rassicurò: <<Non sappiamo ancora se sia un maschietto o una femminuccia, ma vorrei chiamare il bambino Giuseppe o Adele a seconda del sesso!>> 

A quelle parole Adelina portò le mani agli occhi e iniziò a piangere e anche a Giuseppe partì qualche lacrima. Giovanna li abbracciò entrambi e disse <<In questi pochi giorni, mi avete fatto sentire davvero come una figlia! Io che una figlia non sono mai stata! Grazie di tutto!>>  e iniziò a piangere un po’ anche lei.

Anche io alla fine mi unii all’abbraccio. Non so quanto durò, ma un tempo sufficiente a farmi stare bene e a farci dimenticare tutti i dubbi su quello strano paese.

Caricai tutti i bagagli con l’aiuto di tutti, poi ci sedemmo in macchina e Giovanna con lo sportello ancora aperto, in maniera che loro potessero sentirci, mi disse <<Ci siamo scambiati i numeri di cellulare, Adelina mi ha detto che c’è qualche punto del paese in cui il cellulare funziona e così potremmo sentirci!>>

<<Fantastico!>> Dissi io.

Salutammo per l’ennesima volta i simpatici vecchietti e poi ci incamminammo verso l’uscita del paese.

Feci la strada a ritroso, senza troppi problemi fino al punto in cui l’albero era caduto e mi immisi di nuovo nel traffico normale.

Dopo qualche istante sentimmo la suoneria di Giovanna che la avvisava un nuovo messaggio. Lei prese il telefono dalla borsa e lesse il messaggio ad alta voce: <<Ciao ragazzi, sono Giuseppe, sicuramente avete ritrovato la strada! Ma volevo dirvi che io e Adele abbiamo lasciato una piccola lettera per voi nel portaoggetti della macchina! Chissà se Walter non può tirarci fuori un bel racconto! Vi chiedo solo, nel caso, di cambiare i pochi nomi! Terramorta non merita notorietà>>

Giovanna lasciò il cellulare sulle sue gambe e iniziò a cercare la lettera. La trovò dopo pochi istanti.

Rispose velocemente al messaggio di Giuseppe e poi iniziò a leggere:

“Cari ragazzi, in questi pochi giorni ci avete riempito il cuore di gioia e speriamo di avere almeno in parte ricambiato! Purtroppo come avete immaginato, qui a Terramorta non accade mai nulla! 

L’inizio della storia di Terramorta risale al lontanissimo 1560! Prima di allora, il paese aveva il nome di Terravecchia. Un giorno di Gennaio del 1559, una famiglia di forestieri venne ad abitare in una delle nostre case che era rimasta disabitata a lungo. Si dice che lui fosse italiano, mentre la moglie fosse straniera, qualche testo dice fosse sudamericana e qualcuno dice fosse indiana. Comunque, con loro venne anche la giovane figlia, e qui i testi concordano tutti sul fatto che fosse la creatura più bella e più affascinante di tutti gli esseri umani mai visti sulla faccia della terra!

La vita a quei tempi scorreva normale, ma le voci sulla bellezza della ragazza iniziavano a trapelare anche nei paesi limitrofi e in poco tempo a Terravecchia era un via vai di turisti e forestieri.

La famiglia arrivata da lontano, aprì presso la propria abitazione un piccolo negozio di erbe medicinali e i loro affari andavano davvero a gonfie vele. La loro popolarità accrebbe vertiginosamente fino a quando all’inizio del nuovo anno (1560, che sia maledetto) un nobile del nord Italia (che sia maledetto anche lui), venne a Terravecchia per vedere le tanto decantate bellezze della giovane donna. Il nobile si recò nel negozio e chiese una pozione d’amore per fare innamorare una dolce fanciulla del suo paese. Pare che l’intera famiglia si rifiutò di preparargli la pozione, perchè quella che desiderava lui era una magia e non una cura. A nulla servirono le promesse e le offerte del nobile uomo! Il giorno dopo il nobile uomo si ripresentò al negozio piangendo come un bambino e dicendo che era disperato perchè il suo amore non era ricambiato da quello della donna e che questo accadeva anche perchè loro non volevano fornirgli una semplice pozione d’amore! Il nobile iniziò a descrivere le bellezze della sua amata e poi disse ai genitori della ragazza “Se non volete farmi amare dalla fanciulla di mia conoscenza, allora vi chiedo la mano della vostra figliola che, quanto a bellezza, non ha pari sulla faccia della terra!” I genitori della fanciulla rifiutarono anche questa offerta e cacciarono via il nobile dal proprio negozio. Da quel giorno gli affari della famiglia cominciarono a crollare, probabilmente il nobile aveva profumatamente pagato della gente per screditare i prodotti e i servizi della famiglia della fanciulla. In pochi mesi, quella famiglia cadde in miseria e furono costretti a chiudere il negozio. Qualche tempo dopo, il nobile andò nuovamente nella loro casa per chiedere nuovamente la mano della fanciulla promettendo ai genitori grosse ricchezza e terre. Il loro rifiuto fu ancora più categorico. Il giorno dopo la ragazza fu accusata da molta gente di stregoneria e tutta la famiglia fu prelevata e messa al rogo la sera stessa.

Qui, tutti i testi concordano sul fatto che le urla della ragazza furono strazianti e echeggiarono fino alla mattina dopo. Durante queste terribili urla, pare che abbia lanciato una fortissima maledizione su Terravecchia! Tale maledizione avrebbe colpito tutto il territorio di Terravecchia e la gente che lì vi sarebbe nata per altri 1000 anni.

Ed è per questo che sicuramente avrete notato che qui a Terramorta (il nome fu cambiato qualche anno dopo, quando i cittadini si accorsero che la maledizione era vera) non cresce un filo d’erba e che è praticamente impossibile far pascolare un qualsiasi animale! La terra è avvelenata! L’acqua che vi abbiamo offerto con piacere e anche quella con cui vi siete lavati la dobbiamo prendere dal paese accanto perchè la nostra ha un gusto orrendo e un odore nauseabondo.

Tutto quello che normalmente dovrebbe donarci la terra la dobbiamo acquistare dagli altri paesi! Ma noi siamo condannati a rimanere qui! Chi ha lasciato il paese è morto in circostanze misteriose in breve tempo. Noi tutti possiamo lasciare il paese per qualche giorno, ma poi dobbiamo ritornare qui ad espiare i peccati dei nostri avi almeno per altri 540 anni! Così sarà generazione dopo generazione! Probabilmente un giorno scompariremo e il paese sarà del tutto abbandonato! 

Ed è solo per questo, cari ragazzi, che non volevamo assolutamente che vostro figlio o vostra figlia fosse nata in questo paese maledetto! La povera creatura sarebbe stata condannata a morire prematuramente!

Caro Walter, spero che questa storia possa servirti come spunto per un tuo libro o racconto! Siete dei ragazzi fantastici e vi ricorderemo fino al giorno in cui non spareranno le nostre ceneri in cielo con i fuochi d’artificio. Solo in questo modo le nostre anime e i nostri corpi non saranno più a contatto con questo terreno, e quindi dannate in eterno.

Con affetto, Giuseppe e Adelina”

Il lungo cammino


40… guardo solo i miei piedi, non voglio alzare la testa e guardarli. 60… forse li ho superati! 80… avanti! 102… non ce la faccio più a camminare, ma vado avanti. Oggi fa più freddo del solito, vado avanti, non mi giro più indietro. Di solito a quest’ora gioco un po’ con gli altri bambini, ma non mi va troppo di giocare, non oggi. 120… vado avanti, al mio fianco c’è un signore che parla in maniera buffa e mi sorride. Dice qualcosa che non capisco e apre le braccia, forse mi chiede se voglio stare in braccio a lui. No! Cammino da solo, oramai sono grande, anche se sono stanco, ma sono grande! Cammino da molto tempo, 342… 343 passi, forse posso girarmi… forse è meglio arrivare almeno a 350… 344, 345, dai! 346,347, 348,349… metto il mio piede destro sui sassi e mi giro: sorrido, vedo molta gente, gente che conosco e questi signori che parlano buffo. Siamo una fila lunghissima, ma quelle cose non ci sono più! Non le vedrò mai più! Sorrido e continuo a camminare! Oramai è inutile contare i passi. Non voglio pensare più a niente, voglio solo ricordare quello che mi diceva la mamma: “ricordalo, ma non dirlo a nessuno, ricordalo ogni giorno, sempre!”. E io lo faccio ogni giorno, anche da quando lei non c’è più a dirmelo. Ho un brivido di freddo, il signore accanto a me mi dice una cosa strana, poi si toglie il cappotto e me lo mette addosso. È grandissimo, arriva a terra! Lui ride, questo lo capisco. Mi mette una mano sulla testa dove prima avevo i capelli, mi accarezza e fa un gesto come per invitarmi ad andare avanti. Adesso col cappotto sto meglio, il freddo non si sente più, non vedo più quella brutta camicia a righe che ho. Mi rigiro, si, non vedrò più quei maledetti cancelli e le casette col camino da dove la gente non torna più, da dove mamma, papà e i nonni non torneranno più! L’unica cosa che voglio ricordare, come mi diceva la mamma, è il mio nome! Oggi sono un uomo e non quel maledetto numero che ho sul braccio!! 

 

Non ho mai conosciuto il suo nome


Piccolo racconto che mi è venuto in mente mentre ascoltavo una bella canzone di un po’ di anni fa: “Never Knew Your Name” dei Madness

6:00 del pomeriggio di un giorno come tanti altri, mi sto recando in piscina a fare una bella nuotata. Come ogni volta, per scaramanzia, penso che neanche oggi affogherò! Lo so, è una cosa stupida, ma lo faccio, e fino ad oggi ha funzionato!

La piscina non è troppo vicina a casa, ma faccio comunque volentieri il percorso a piedi, è un modo per riscaldarmi un po’ e anche per riflettere su qualcosa che semmai è accaduto durante la giornata.

Oggi non c’è molto su cui riflettere e sono anche abbastanza spensierato. Così mi ritrovo a guardare qualche vetrina, qualche affare e, perché no? Qualche bella ragazza che passa!

Però oggi non c’è troppo movimento, per strada non c’è molta gente e le vetrine sono sempre le stesse dall’inizio dell’estate.

Poi i miei occhi trovano lei. E’ ferma al centro del marciapiede, con lo sguardo cerca qualcosa sui muri del palazzo alla sua sinistra. Fa qualche passo indietro per osservare meglio. Ha dei capelli lunghissimi che gli arrivano alla vita, un fisico abbastanza esile ma con curve molto armoniose.

La sua ricerca non sembra affatto terminata, anzi dallo sguardo capisco che è rimasta anche delusa dai risultati. Oramai sono a pochi passi da lei, anche se non ci vedo benissimo da lontano, posso solo confermare che è molto carina. Lei si gira di scatto e ci ritroviamo occhi negli occhi. E che occhi!!! Definirli solo azzurri sarebbe un vero peccato. Non sono troppo bravo a descrivere i tratti somatici di una persona, e capisco che alcuni aspetti possono risultare del tutto soggettivi, ma quel colore e quella limpidezza non sono affatto usuali.

Non sembra di origini italiane e qualche istante dopo ne ho la conferma.

Mi si para davanti quasi per bloccarmi il passaggio e mi dice:

<<Chiedo scusa, puoi aiutarmi?>>

Dall’accento capisco che la ragazza deve essere russa o comunque di qualche paese dell’ex unione sovietica.

Di solito, provo sempre a dare un aiuto a chi lo cerca, questa volta l’idea di dire qualcosa del tipo “No, scusami, vado di fretta!” non si è nemmeno palesata nella mia mente. Chissà perché?!

<<Si , dimmi…>> rispondo con cortesia. Mi ritrovo automaticamente a parlare piano e a scandire bene le parole per mettere a mio agio la ragazza straniera.

<<Sto cercando questa strada…>> e con un po’ di difficoltà, sfila dalla tasca del pantaloncino aderente, un foglietto di carta piegato in due.

Lei lo apre e me lo mostra: c’è scritto “Corso Italia 20 – Mugnano”

<<Ah ok a Mugnano…>> utilizzo un tono pacato per tranquillizzarla ma poi mi tradisco: <<però qui non siamo a Mugnano!>>

Lei si porta le mani al viso ed esclama qualcosa di incomprensibile nella sua lingua.

Di istinto le poggio una mano sulla spalla come per consolarla e poi dico <<No! Non ti preoccupare! Non è lontano, è solo che qui siamo in un altro paese!>> Maledetto me e le mie inutili precisazioni di tipo geopolitico!

Lei sembra calmarsi un po’, io sfilo il cellulare dalla mia tasca e inizio ad armeggiare con l’applicazione del navigatore.

<<Ecco, qui dice 1 Chilometro e 600 metri!>> Provo a rassicurarla mostrandole il display del cellulare.  <<Come ti dicevo non è troppo lontano!>>

Le torna il sorriso. Ma quanto è bella?! <<Grazie!>> Mi abbraccia, poi sempre tenendo le braccia dietro al collo come in un lento, mi chiede <<Puoi accompagnarmi per favore? Il mio telefono è scarico da un bel po’ di tempo!>>

Posso mai dire di no ad una ragazza così? Abbasso lo sguardo verso la borsa che ho a tracolla e, con una faccia un po’ rassegnata a cui non crederebbe nemmeno un bambino appena nato, dico: <<In realtà stavo andando in piscina… però, in effetti…>> alzo gli occhi verso di lei, e continuo <<Andiamo! In piscina vado dopo!!>>

Lei non dice nulla, strizza solo l’occhio e indicando la strada da cui provengo, chiede <<Di là?>>

Cominciamo male. <<No! Dall’altra parte, vieni!>>

Così ci incamminiamo verso la sua meta.

<<Da dove vieni?> chiedo e anticipandola un po’ continuo <<Parli molto bene, ma scommetto che non sei di qui!>

<<Si, da Estonia. Ma papà è italiano! Di Milano!>

Ecco, allora di sicuro assomiglia più alla madre!

<<E come mai sei qui?>>

<<Per lavoro, giro molto! Sono modella!>> Ecco, su questo non avevo troppi dubbi! Se non è modella lei, allora chi avrebbe potuto fare un lavoro così?

<<E come mai ti trovi qui adesso?>>

<<Devo fare un… >> fa una piccola smorfia col viso e poi continua, <<Non voglio usare i termini tecnici, non mi va di annoiarti! Comunque: foto con i vestiti da sposa!>>

<<Ah, bello… aspetta un attimo, qui ci conviene attraversare la strada>>

Qualche istante dopo si ferma un’auto per farci passare, alla guida c’è un ragazzo che indossa degli occhiali da sole.

Ci lascia attraversare, anche se non riesco a guardare il ragazzo negli occhi, sono sicuro che sta guardando il fondoschiena della ragazza al mio fianco. L’espressione stupita della parte visibile del viso ne è la conferma!

<<E tu? Invece che fai? Sei nuotatore professionista?>> Chiede lei.

<<No, no! Professionista no!>> mi viene quasi da ridere. <<Grazie per il complimento, ma lo faccio solo per tenermi un po’ in forma!>>

Lei sorride e… nulla! Lei riesce a sorridere con tutto il volto. E’ davvero bellissima! Può sembrare un cliché: una modella molto bella, ma non è così! C’è qualcosa di particolare nei suoi occhi, non so bene cosa, ma sono magnetici! Osservando i suoi occhi, mi vengono in mente delle macchinine giocattolo che ebbero un certo successo quando ero piccolo: guardando attraverso il piccolo tettuccio si poteva scoprire un mondo pieno di piccolissimi dettagli. Così sono i suoi occhi, al loro interno c’è un piccolo universo con delle galassie, tantissime stelle lucenti e un bel po’ di vita.

Giriamo a sinistra per imboccare un’altra strada.

<<E quindi? Che fai oltre ad andare in piscina?>> Chiede lei.

<<Mah, nulla di avvincente! Lavoro per un’azienda che offre servizi informatici…>> Rispondo senza troppa enfasi.

<<Ah! Sei un nerd?!>> Ribatte subito lei.

Ecco, lo sapevo! Basta vedere una persona con gli occhiali e che nomina la parole “informatica” e subito viene etichettato come nerd! Perché??

<<Ti sembro nerd?>> chiedo.

<<Mmm, non troppo! anzi sei anche carino! Ma non volevo offenderti!>> Risponde lei dolcemente.

<<Ma non mi sono offeso!>> Qui mento spudoratamente! Non ho mai sopportato i nerd. <<Chiedevo solo…>>

Per cambiare un po’ argomento controllo un po’ il telefono e dico: <<Siamo quasi arrivati, mancano 500 metri!>>

Lei controlla l’orologio da polso e dice <<Già sono in forte ritardo!>>

Manca davvero poco alla meta. Le chiedo <<Ti trattieni qui per qualche tempo?>>

<<No! Domani mattina devo già andare via!>> Risponde lei con un po’ di rammarico.

Ecco, forse sarebbe stato meglio andare ad affogare in piscina.

<<Così presto?>> Provo a chiedere, ma le mie parole vengono coperte dal forte suono del clacson di una macchina che si è accostata a noi.

<<E’ Claudio! Il fotografo!>> Esclama lei. <<Scusami devo andare!>> Si avvicina all’auto, apre lo sportello anteriore del passeggero. Esita un attimo, si volta verso di me, corre, mi abbraccia e mi stampa un bel bacio sulle labbra.

Poi dice <<Grazie davvero! Sei stato davvero molto carino!!>> Si allontana da me ed entra in macchina.

Mentre l’auto si allontana, lei mi saluta con la mano. Non so se è una mia impressione, ma vedo un velo di tristezza nei suoi occhi, come se qualche stella al suo interno sia morta portando con se miliardi di piccole vite.

Adesso non mi rimane che provare a non affogare in piscina!

So che non rivedrò mai più quella ragazza e non ho mai conosciuto il suo nome.

 

In un giorno qualunque


Alla nostra età non è che possiamo definirci proprio utili alla società. Ho settantadue anni, un viso da nonno, una pensione da nonno ma non sono nonno. Eh no, i miei figli ancora non mi hanno regalato questa gioia! Anche se, tutto sommato, in questo modo ho più tempo per me, per mia moglie e per i miei amici, almeno per quelli che sono ancora in buona salute come me.

Però non sono proprio del tutto inutile per i miei figli, oltre all’affetto e a qualche piccolo aiuto economico c’è sempre qualcosa da fare per loro. Questa mattina, per esempio, devo pagare delle bollette arretrate di Franco e spedire un piccolo pacchetto per Sandra, la moglie. Sono già in fila da una mezz’oretta, ma, a quanto pare, la fila è abbastanza lunga e la cassiera non è troppo veloce.

La fila alle poste è sì noiosa, ma, come accade per i mezzi pubblici, diventa sempre un ritrovo di personalità davvero eccentriche. La prima che ho notato fin da subito è la signora seduta alla mia destra: penso abbia meno di cinquanta anni, tondetta e prosperosa, vestita un po’ troppo succinta ed una gonna davvero troppo corta. Con i suoi movimenti si potrebbe tarare un metronomo. Alza lo sguardo, fa un piccolo sbuffo, abbassa lo sguardo sulle gambe, afferra il bordo della gonna, lo tira giù e ricomincia! Alza lo sguardo, fa un piccolo sbuffo e così via…

Accanto a lei invece c’è Armando, una delle persone più anziane del quartiere, un vecchietto simpatico e con la battuta sempre pronta. In questo momento è molto indaffarato ad esaminare ogni centimetro delle gambe della signora con particolare attenzione alla parte confinante con la gonna. Il suo respiro e il sorriso vanno a tempo con i movimenti ciclici della signora.

Più avanti nella fila, ci sono le solite persone che si lamentano di tutto il creato e quello ancora da creare. Per loro, la causa di tutti i mali, è attribuibile sempre ad un personaggio politico o all’entità divina che non chiama quest’ultimo al suo fianco nel regno dei celi.

A questi personaggi abbastanza comuni, quasi necessari, alla vita quotidiana di un normale ufficio postale, c’è da aggiungere l’immancabile uomo-dinamite. Gli uomini-dinamite sono quelle persone che passano la propria esistenza alla ricerca di una buona scintilla che possa farli esplodere di rabbia. La loro ricerca è lunga ed estenuante e la rabbia aumenta col passare del tempo di ricerca. Questa volta sono stato davvero sfortunato, l’uomo-dinamite è proprio davanti a me!

Adesso la fila avanza leggermente, il viso soddisfatto di una signora che ha terminato i pagamenti abbandona l’ufficio postale e al suo posto arriva un ragazzo di una trentina d’anni. Il ricambio generazionale si vede quasi subito: il ragazzo, elegante e perfettamente pettinato sta parlando al cellulare in maniera frenetica. Sta provando a mantenere un certo decoro parlando a bassa voce e guardando con un’aria rassegnata tutti i visi che incontra.

Sta per chiudere la telefonata, sento un veloce <<Si, si, ho capito. Ciao! A dopo! Ciao! Si, si! Come no! Ciao! Già ci siamo salutati! Devo andare! Ciao!>> Fa una brevissima pausa, con un gesto veloce del dito chiude la comunicazione, guarda in un punto imprecisato del soffitto ed esclama <<Gesù Cristo…>>.

Il ragazzo fa il classico gesto di spalle e braccia per sistemarsi la giacca addosso, quel tipico gesto che poi non sistema nulla. Si guarda attorno e poi chiede <<Chi è l’ultimo?>>. A questa domanda, di solito inutile, ci sono sempre varie reazioni: quelli più stupidi rispondono sempre <<Sei tu l’ultimo!>> guardandosi attorno in cerca di sorrisi e consensi che non arrivano quasi mai. L’onnipresente uomo-dinamite impreca e si innervosisce ancor di più. Qualcuno borbotta e Armando approfitta della distrazione della signora per osservarne un po’ più da vicino le gambe.

Qualche persona di buon cuore e con la voglia di parlare leggermente più alta della media, suggerisce: <<Giovanotto, dovrebbe prendere il numero lì>> indicando il distributore automatico di ticket. Il ragazzo prende il numero, lo confronta con i display luminosi posizionati sulle casse ed esclama nuovamente <<Gesù Cristo…>>.

Quando la questione “numero” si conclude, tutti tornano a guardare avanti. Tutti tranne Armando sempre concentrato sulle gambe della signora.

La fila avanza di un passo e un’altra persona abbandona l’ufficio.

Dietro di me sento ancora uno strano vociare, e poco dopo scopro che l’ultimo arrivato sta provando a fare quella che amo chiamare “La scalata”!

La scalata è quello stratagemma pericoloso e poco efficiente in cui,  il personaggio di turno, con una scusa che va dall’appena credibile all’incredibile, chiede al suo predecessore nella fila di cedergli il posto. Tale scalata, di solito, si ferma subito o, nel migliore dei casi, si blocca al primo uomo-dinamite. Si narra che, nel lontano 8 Giugno del 1972, un temerario uomo della provincia di Napoli riuscì a saltare una fila di 88 persone e 6 uomini-dinamite. Nell’anno successivo, molti cittadini decisero di indire una petizione per posizionare una statua di bronzo che raffigurava questo eroe davanti alla posta centrale di Napoli a piazza Matteotti.

La scalata del giovanotto era relativamente veloce e silenziosa, la scusa utilizzata doveva essere davvero convincente e credibile. A poco a poco, il ragazzo si avvicina a me, riesco a carpire spezzoni di frase come <<…la mia ex…>>, <<…la nonna…>>, <<…non posso mancare!>> ecc.

Tali parole arrivano anche alle orecchie dell’uomo-dinamite davanti a me. Quest’ultimo inizia a battere la punta del piede destro a terra e a sbuffare più forte del solito.

Dopo qualche istante, il ragazzo “scalatore” arriva a me:

<<Mi scusi signore…>>

mi volto a guardarlo e rispondo <<Mi dica giovanotto…>>

<<eh, niente… le volevo chiedere se per cortesia… lei poteva… sarò velocissimo, è un solo bollettino postale e… sempre per cortesia, se è così gentile da farmi passare e pagare questo bollettino…>> il ragazzo fa uno sguardo implorante e a mani giunte, accenna quasi ad inginocchiarsi. Poi continua <<… sa, ieri la mia ragazza mi ha mollato e adesso ho saputo che sua nonna sta molto male! Sa, vorrei andarla a trovare prima che sia troppo tardi! Eravamo molto uniti! L’amavo…>> il ragazzo a questo punto incespica un po’ con le parole e si corregge <<… cioè amavo la nipote, non lei! Però… le voglio molto bene! Per favore!>>

Sto per accettare ma, togliendomi le parole di bocca, interviene l’uomo dinamite:

<<Quarantadue! Sei riuscito a saltare quarantadue persone!!!! Le ho contate ad una ad una! Ma non mi salterai mai! Devi passare sul mio cadavere!!!! Ringrazia tutte queste pecore che ti hanno fatto passare, ma da qui non passerai mai!!! MAI!!!!!>>

L’uomo-dinamite finisce la sua arringa e rimane a fissare il ragazzo. Il povero giovanotto, si guarda un po’ attorno imbarazzato e dice:

<<Ok, allora rimango dietro di lei! Non si arrabbi troppo. Grazie lo stesso.>>

Quindi, tutto torna alla normalità. Il giovanotto senza il mio consenso esplicito si piazza tra me e l’uomo-dinamite attendendo il suo turno.

Dopo circa dieci minuti arriva il turno dell’uomo-dinamite, che, dopo aver elencato tutti i difetti dell’ufficio e, dopo aver chiesto più volte di parlare col direttore per un motivo non meglio specificato, decide di porgere il blocco di bollettini da pagare.

L’operazione dura pochi minuti e molte imprecazioni, poi, l’uomo-dinamite esce anche lui soddisfato ma non sorridente dall’ufficio.

Il giovanotto, si gira verso di me e dice: <<Allora posso? Grazie mille!>> Non attende il mio consenso e si avvicina alla cassiera. Le consegna dei bollettini che nel frattempo si sono magicamente moltiplicati e, assumendo una posa plastica alla James Dean, comincia a fare occhiate languide all’avvenente cassiera.

La cassiera ricambia lo sguardo ma con un’espressione rassegnata, e dice:

<<Mi dispiace, ma deve attendere! Abbiamo un problema alla rete e non possiamo procedere con i pagamenti!!>>

Tutti cadiamo nel più profondo sconforto, tranne Armando che adesso ammira le gambe accavallate della rassegnata signora!

Il giovanotto inizia ad implorare la cassiera a far di tutto per ripristinare la rete:

<<La prego, è importantissimo! Quanto tempo pensa che ci voglia per sbloccare il tutto?>>

<<Non ne ho idea signore!>> risponde la cassiera.

<<Senta>> continua il giovanotto, <<le prometto che se tra dieci minuti io sarò fuori di qui coi bollettini pagati, allora stasera la porto fuori a cena nel miglior ristorante di Napoli!!>>

Il ragazzo strappa una risata sincera e leggermente imbarazzata alla cassiera, che risponde:

<<Così, su due piedi? Non so nemmeno il suo nome!>>

<<Non è vero!>> dice il ragazzo <<E’ scritto su tutti i bollettini! E…>> prende qualche istante di tempo e poi continua <<attenda due minuti qui! Tanto la rete non sembra tornare!!>>

Il ragazzo si fionda verso l’uscita dell’ufficio lasciando tutti a bocca aperta.

Passano pochi istanti e rientra in ufficio con un bouquet di rose rosse che porge alla cassiera tra gli applausi scroscianti dell’ufficio intero, Armando compreso!

La cassiera nell’imbarazzo totale prende il bouquet e dice:

<<ok, penso di poter accettare il tuo invito, anche perché la rete sembra tornata!>>

Qualche minuto dopo, esco anche io dall’ufficio postale!

Rientro a casa con un gran bel sorriso e un bouquet di fiori da campo da donare a mia miglie! Ci metto un po’ a spiegarle che non ho nulla da farmi perdonare ma che è solo un semplice gesto di affetto nei suoi confronti!

Ma, dopotutto, con le parole sono sempre stato abbastanza bravo, anche se non sarò mai così bravo come fui in quel lontano 8 Giugno del ’72!!

 

 

La partita.


Sono lì uno accanto all’altro, seduti, con lo sguardo nel vuoto e con una sottile maschera sorridente posata sul viso.
Non si guardano, non si sfiorano nemmeno, eppure sono così vicini.
Una volta era tutto diverso, in casa c’era un’allegria e una spensieratezza davvero piacevole, adesso sembrava che anche la luce del sole evitasse la mia casa. Era sempre più cupa e silenziosa. Silenziosa finché qualcuno di loro due non cominciasse ad urlare per qualche motivo, un motivo che il più delle volte era il più stupido che avessi mai sentito: un abito fuori posto, un bicchiere non lavato a sufficienza, la pasta un po’ scotta, il tubetto del dentifricio non tappato ecc.. Ogni sciocchezza veniva utilizzata per offendersi, insultarsi, rinfacciarsi tutte le cose che non si erano urlati il giorno prima e quello prima ancora.
Così passavano i miei giorni, da poco meno di un anno a questa parte. Tutte le mattine mi svegliavo due volte: la prima volta quando rientrava mio padre a casa. I primi giorni gli chiedevo dove andasse, lui mi rispondeva sempre che aveva tanto da lavorare. Sapevo bene che non era così, gli uffici di notte sono chiusi, almeno la maggior parte!
Una mattina scoprì la verità, lui entrò piano in stanza per guadarmi, io non dissi nulla e continuai a far finta di dormire. Avevo gli occhi socchiusi e il respiro profondo e regolare, ero bravo in questo! Lui si avvicinò, si sedette piano ai piedi del letto e mi accarezzò un po’ i capelli. Dai suoi occhi uscirono due piccole lacrime, una passò su alcuni segni rossi che aveva sulla guancia. Li avrei riconosciuti tra mille! Quando ero più piccolo li seguivo con le piccole dita immaginando fossero lunghissime strade che portassero piccoli omini chissà dove. Erano le trame del tessuto della macchina di papà. No, non andava a lavoro! Dormiva in auto! In quel momento mi venne quasi da sorridere, ma capì subito che non c’era nulla da ridere. Doveva essere umiliante per lui. Così non sorrisi e mi riaddormentai davvero.
Quasi ogni mattina, mio padre viene a guardarmi sul ciglio del letto, quasi ogni mattina spero lo faccia di nuovo. Poi viene mamma, la sveglia ufficiale! Si deve andare a scuola! Ma prima bisogna fare la farsa della colazione: tutti e tre, insieme, seduti al tavolo a far colazione. Gli unici rumori che ascolto sono i cucchiaini che girano nelle tazze e la televisione in sottofondo. Poi si va a scuola!
Lì non c’è quasi mai silenzio, lì mi rilasso e studio quasi con piacere. Non so se le maestre sanno quel che accade nella mia casa, forse la mamma ha detto qualcosa a loro, a me non è che me ne frega più di tanto, studiavo prima e studio adesso…
Dopo la scuola viene sempre mamma a prendermi, lei ha smesso di lavorare quando sono nato, non so perché, forse un giorno lo capirò, adesso non mi va di capire certe cose! Da lì andiamo a casa. A giorni alterni, uh! Ho detto “a giorni alterni”, una volta dicevo “un giorno sì e uno no”! Forse sto studiando un po’ troppo! Vabbè, come dicevo: a giorni alterni vado a scuola calcio. Mi è sempre piaciuto giocare a pallone con gli amici, certo non sono un campione come Messi o come quel Maradona di cui mi racconta sempre papà, però me la cavo bene!
Dopo la scuola calcio torno a casa. E’ il momento di studiare! A differenza di molti miei amici, io, studio con piacere. Non so perché, è sempre stato così! Ogni tanto, mamma mi aiuta, a volte viene a sincerasi che ho studiato tutto, a volte mi deve spiegare qualche parola che non conosco, a volte… a volte ho l’impressione che voglia solo stare con me. Però mi fa piacere, almeno la vedo sorridere.
Verso le sei del pomeriggio arriva papà, mamma gli apre la porta come per far entrare dell’aria dalla finestra. Non si dicono una sola parola. Nulla! Così rompo il ghiaccio io, gli racconto di tutto quello che ho studiato a scuola, di tutto quello che ci ha detto il Mister e della prossima partita del campionato. Dopo qualche ora, si cena e si guarda la tv. Sempre in assoluto silenzio.
Per il resto non c’è nulla di bello da raccontare, solo urla e insulti. Insulti rivolti da papà a mamma, mamma che insulta papà e “quella puttana” che sarebbe una amica di papà che non ho mai capito chi è e che cosa c’entra in tutto questo! Poi papà che dice che la mamma si deve far curare perché inventa le cose. Lei dice che è un bugiardo e un pezzo di merda e, dopo altri insulti lui esce sbattendo la porta di casa!
Questi sono i miei genitori, quelli che adesso ho davanti agli occhi. Lì seduti. Da quanto ho capito dalle urla di qualche giorno fa, tra meno di una settimana un giudice dovrà decidere per il divorzio. Si, si separeranno, forse sarà meglio per tutti e due, forse non lo sarà per me. Non lo so. Forse questa è una delle ultime volte che li vedrò insieme, qui sugli spalti di un campo di calcio attendendo che l’arbitro fischi tre volte.
Il fischio arriva ma è singolo. Tutti si alzano dalla panchina, mi alzo anche io per capire cosa sta succedendo, sono rimasto distratto per tutto il tempo! Giulio e giù e si mantiene la gamba! Si è fatto davvero male, lui non finge mai! L’arbitro caccia un cartellino giallo e ammonisce il ragazzino della squadra avversaria, anzi l’espelle per doppio cartellino giallo, il primo me lo sono perso. Ma a che minuto siamo? Il tabellone dello stadio segna il settantottesimo minuto e siamo sull’uno a uno e io mi sono perso ben due goal!
Mi sento chiamare! E’ il Mister, devo entrare al posto di Giulio che adesso cammina zoppicando. Non… non sono pronto. Non ce la faccio! Oggi no! Ma vedo tutti gli sguardi dei miei amici rivolti verso di me e anche i miei genitori mi stanno guardando. Così faccio due passi avanti, mi aggiusto la maglia addosso, mi allaccio meglio i lacci delle scarpe e do una pacca sulla spalla a Giulio che nel frattempo è rientrato in panchina.
L’arbitro ha fischiato. Batto la punizione: un cross a Marco che però viene intercettato dal portiere.
Adesso hanno loro la palla, cavolo se sono veloci. Fanno un paio di azioni senza però essere troppo pericolosi. Poi Andrea ferma l’azione avversaria e riconquista il pallone. Lo passa a Daniele, Daniele avanza con la palla al piede, avanti a me ci sono solo due difensori e il portiere, avanzo anche io. Quando il pallone parte dai piedi di Daniele, io ho già superato un difensore. Il cross di Daniele è preciso come sempre, la palla arriva davanti ai miei piedi. La gestisco col destro, adesso ho solo un difensore e il portiere davanti a me. Entro in area, il difensore che ho superato è… eccolo, mi ha messo uno sgambetto, perdo l’equilibrio e cado a terra. L’arbitro fischia il rigore! Io mi rialzo, poso il pallone sul dischetto e mi allontano, non sono io il rigorista. Alzo la testa, perché tutti mi guardano? Ho la maglia sporca? Si è normale, sono appena caduto! No è qualcos’altro, allora vedo il Mister che si sbraccia e indica me. Io? Io, cosa? Io devo calciare il rigore? Perché io? Già so che è impossibile fa cambiare idea al Mister, così torno sui miei passi e mi posiziono dietro alla palla. Tra me e la porta c’è Matteo, è più grande di me di un anno e mezzo, un buon portiere ma non imbattibile. Mi giro un attimo, il tabellone segna l’ottantottesimo minuto, se segno questo rigore la partita è sicuramente vinta. E’ tempo di prendersi le proprie responsabilità. C’è tutta una squadra che mi sta guardando, e aspetta solo che io tiri quella palla in porta! Se vinciamo questa partita arriviamo al secondo posto e la vittoria del campionato potrebbe essere nostra. Mi accorgo che sto fissando la palla da un bel po’. C’è un silenzio spettrale in quel piccolo stadio di città. Odio il silenzio. Così alzo la testa, arretro per prendere una breve rincorsa e faccio un cenno all’arbitro. Lui fischia. Parto. Destro, sinistro, destro, sinistro, calcio il pallone e lo piazzo nell’angolo in alto a destra! Goal!!!!
Tutti urlano! Il silenzio non c’è più! Vengo assalito dai miei amici. Sono tutti su di me per festeggiare! Tra le varie teste dei miei amici riesco a procurarmi un piccolo spiraglio, giusto in tempo per vedere i miei genitori che si abbracciano.
Probabilmente sarà l’ultima volta che lo faranno, ma mi fa piacere pensare che sono stato io a renderlo possibile.

Destinazione raggiunta!


Mi separa poco tempo da mia moglie e mia figlia, pochi istanti, sono quasi arrivato a destinazione. Il vento mi sferza il viso, ma nulla può fermarmi adesso. La gioia di rivederle prevale su qualsiasi altro fattore.
Questi giorni sono stati un po’ turbolenti, lo ammetto, non sono stato proprio un buon esempio per la mia famiglia, ma spero che sapranno perdonarmi. Lo saprò presto.
Non so da dove cominciare, dovrei iniziare a raccontarvi della mia vita da bambino fino ad oggi, ma ho poco tempo. Forse dovrei iniziare da quando ho conosciuto mia moglie, ma anche in questo modo avrei poco tempo a disposizione; è come se la conoscessi da sempre, abbiamo trascorso fin troppo tempo insieme, eppure la mia vita, la mia vera vita, è cominciata da lì.
Non ho tempo, sto andando davvero veloce, non finirei di raccontarvi la mia storia.
Ok, ho sufficiente tempo per dirvi che due anni fa è nata nostra figlia! La mia piccola marmocchietta! Così amo chiamarla sin dal primo giorno. Giorno dopo giorno non ha mai terminato di regalarmi una gioia immensa!
Voi vi starete chiedendo: allora cosa ha fatto di male? Ha tradito sua moglie? Ha tradito la fiducia della figlia? No, non è nelle mie corde, non l’avrei mai fatto! Mi sono comportato male con altre persone, poi starà a voi decidere se lo meritavano o no! Fatemi trovare un ordine alle mie idee prima che sia troppo tardi.
Tutto è iniziato due mesi fa, uscivo da un periodo davvero brutto! Sapete quando tutti vi voltano la faccia? Alzano le spalle? Ti dicono quell’odioso “purtroppo non possiamo fare nulla! Mi dispiace!” ?. E tu ti senti impotente davanti al resto del mondo. Ecco, però, come vi ho detto, ero uscito da quel periodo. Dovevo reagire! Così, giusto due mesi fa, proprio a quest’ora ero in una villa lussuosissima, in periferia. Stavo sprofondato in un divano di 7 o 8 posti, non so se era vera pelle o che altro, ma doveva costare davvero tanto. Di fronte a me, c’era un uomo con forte accento dell’est Europa. Oltre all’accento aveva anche una fortissima stretta di mano. La mia, abituata a battere su dei morbidi tasti di un computer era rimasta quasi stritolata.
Esordì lui dicendo “Ma allora? Chi te lo fa fare? Ho quel che vuoi, so che hai i soldi per pagarla! Ma ti conviene?” Non dissi nulla, feci solo un cenno di assenso con la testa. Ero intimorito da quell’omone, però tutto sommato dovetti fare colpo nel suo animo, ammesso che ne avesse uno! Così sorrise e mi disse “Brav’! Mi piaci! C’hai le palle! Anzi mi sei simpatico e ti voglio fare uno sconto! Mi dai 20 Euro in meno e così compri un bel mazzo di fiori! Anzi due: uno per tua moglie e uno per tua figlia!” Così ad un suo cenno, si avvicinò uno dei due tizi che mi sorvegliavano, ammesso che ce ne fosse stato bisogno! Il tizio, gli porse un piccolo fagotto, l’uomo controllò il contenuto e disse.
“Ecco è tua! La cifra pattuita, meno 20 Euro! Noi non ci siamo mai visti e io non voglio vederti più!”
“Non si preoccupi” dissi. “Mi consideri come muto!”
L’altro uomo, prese la borsa con i soldi che era ai miei piedi, la aprì, contò le banconote, tutte! Fece un cenno di assenso, poi prese due banconote da dieci e me le porse insieme al fagotto.
Pesava, pesava tanto! Non me l’aspettavo, eppure dovevo aspettarmelo.
Misi il fagotto nella tasca interna dell’impermeabile e mi alzai per salutare l’uomo che avevo di fronte. La stretta di mano fu ancora più dolorosa!
Lasciai la casa nella stessa maniera abbastanza bestiale con cui ero arrivato, non mi va di parlarne anche perché il tempo stringe. La meta è più vicina. Sono quasi arrivato a destinazione.
Quel che accadde nei giorni successivi, credetemi, è troppo lungo e troppo brutto da raccontare. Ho conosciuto la gente peggiore al mondo. Tutto perché mi servivano due nomi e forse un perché! Del perché mi interessava poco, già sapevo quale fosse stata la risposta. I due nomi invece mi servivano e come!
Alla fine arrivarono, dopo che avevo speso quasi tutti i miei risparmi, dopo essere caduto in varie trappole, dopo aver subito due rapine a mano armata, un pestaggio e altre cose che non voglio nemmeno raccontarvi!
Così circa un mese fa iniziò la seconda parte della mia missione investigativa. Mi sentivo un po’ come un vecchio commissario della televisione, probabilmente anche quel vecchio impermeabile mi aiutava ad entrare meglio nella parte.
Così iniziai gli appostamenti, iniziai a prendere nota di ogni loro movimento, conoscevo le loro abitudini: dove abitavano, con chi uscivano, a che ora scendevano da casa, quali erano i loro bar preferiti, i nomi delle loro amanti, e altri particolari.
Mi è rimasto pochissimo tempo! Sono quasi arrivato! La meta è proprio lì davanti a me! Il vento è stranamente diminuito, non mi chiedete perché! Di fisica ci ho capito sempre poco e poi non mi interessa più di tanto adesso!
Dove ero rimasto? Ah si! Scusatemi devo essere breve!
Oggi mi sono deciso ad agire. Il Mercoledì andavano allo stesso bar, arrivavano sulla stessa moto, ma si fermavano sempre dal tabaccaio di Via Moro per acquistare due pacchetti di Marlboro. Così è stato anche stamattina: la moto si ferma, il tipo col tatuaggio sul braccio destro scende e entra nel magazzino. Lo vedo che acquista i soliti due pacchetti di Marlboro, non tolgono mai il casco integrale ma poco importa. Esce e si avvicina alla moto. Le persone come lui hanno un sesto senso per queste cose, infatti, alza la testa e mi guarda fisso negli occhi. Il proiettile era già partito, lo colpisco giusto al centro del petto. Il secondo parte un istante dopo e colpisce anche il centauro che nel frattempo si era girato verso di me. Morti tutti e due sul colpo. Probabilmente proprio come le loro vittime: mia moglie e mia figlia che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Una casualità.
Ma adesso saremo stati per sempre insieme, adesso che ero arrivato alla meta! Il vento era quasi cessato, il volo da dodici piani anche! L’asfalto è lì ad un palmo di naso. Eccolo!

L’ultimo viaggio insieme


Probabilmente saranno stati i tragici avvenimenti di questi ultimi giorni a far venire fuori questo piccolo racconto… spero vi piaccia.

L’ultimo viaggio insieme

 

<<…ore!>>

Che?

<<…ore!>>

Chi è? Apro appena gli occhi. No, non ho dimenticato come al solito la televisione accesa.

<<…gnore! Signore!!>>

Qualcuno mi scuote un po’ il braccio. Gli occhi si aprono del tutto. Non riconosco subito la stanza, ma chi è che mi scuote? Mi volto e vedo un piccolo volto accanto a me.

Mi alzo di scatto. Mi allontano da quella persona che non dovrebbe essere lì.

Dove sono??! C’è una bambina accovacciata sull’asfalto, era lei a scuotermi. Ma perchè sono in strada? O meglio perchè dormivo al centro della strada?

Mi guardo attorno, non c’è nessun altro in città. Ma che città è?

<<Signore?! Si sente bene?>> chiede la bambina. Ha circa 7 o 8 anni, è la prima volta che la vedo.

<<Ciao. Che ci fai da sola per strada?>> chiedo con calma, una bambina non può farmi del male!

<<Niente, ho visto che era per terra… e, è pericoloso stare sdraiato per strada! Non lo sa?>>

Prendere una lezione da una bambina è ancora più strano, sorrido e mi avvicino alla bimba. Poso una mano sulla sua testa e le scompiglio leggermente quella cascata di riccioli biondi.

<<Si! Grazie! Adesso alzati, ti accompagno dai tuoi. Dove sono loro?>>

Lei mi guarda come se le avessi chiesto una spiegazione tecnica della fissione nucleare.

<<I miei cosa?>>

<<I tuoi. I tuoi genitori!>>

<<Non lo so! Ma lei è sicuro di sentirsi bene?>>

<<Si! Non so cosa mi è successo ma sto bene! Probabilmente stavo… no, non mi ricordo che stavo facendo!>> Mi guardo nuovamente attorno, dove sono? E’ davvero una bella città ma non l’ho mai vista! E poi perchè è vuota?

<<Dove siamo?>> Le chiedo.

<<A Colonia!>>

<<A Colonia? E che ci faccio a Colonia?>>

La bambina alza le spalle e poi chiede <<Forse è in viaggio?>>

In viaggio? Non lo so, non sapevo nulla. Intanto la bambina mi prende per mano e mi accompagna al ciglio della strada. Che ci faccio lì? L’unica possibilità è che sto sognando!! Si, deve essere così! Non è possibile che mi sono addormentato per starda in una città in cui non sono mai stato, e, in una città reale ma completamente deserta a parte la bambina che mi tiene per mano. I sogni di solito mi piacciono, almeno quelli degli ultimi tempi. Raramente li ricordo al risveglio ma, almeno, mi sveglio rilassato. Ok, stiamo al gioco!

<<Dai, ti accompagno a casa dai tuoi!>> le dico.

<<No! Lei non sta bene! Non ricorda nemmeno perchè è a Colonia!>> risponde lei anche un po’ indispettita.

Che fare adesso? Lascio la mano della bimba e le metto in tasca, lo faccio automaticamente ogni volta che devo prendere una decisione importante. La mano sinstra incontra un foglio di carta, la destra il cellulare. Sfilo entrambi fuori dalle tasche.

Il cellulare ha il display rotto in più punti, lo provo ad accendere: nulla! Rotto! Il foglio di carta è stranamente colorato. In realtà sono due, due biglietti del treno. Sono due biglietti per la tratta Monaco-Colonia! Il resto non è chiaro, non conosco bene la lingua tedesca, ma vedo subito che uno è intestato a me e l’altro a Serena, mia moglie.

Di scatto mi accovaccio davanti alla bambina per guardarla meglio negli occhi, la prendo per le spalle. <<C’era una donna con me quando mi hai trovato? E’ mia moglie! E’ bionda, occhi chiari. E’ vestita con… non lo so! L’hai vista?>>

<<No! Non l’ho vista…>> I suoi occhi iniziano a gonfiarsi leggermente. No! Adesso inizia a piangere! Mi abbraccia e inizia a piangere sulla mia spalla. <<Voglio la mamma!!>>

Questa non ci voleva, ho fatto piangere anche la bambina. Che strano sogno! Inizia a non piacermi più. Troppi punti di svolta rispetto ad un tipico sogno. Troppo… troppo reale!

Accarezzo i capelli della bambina e gli sussurro <<Non piangere! Ti prometto che ti porto a casa dei tuoi genitori!>>

La bambina continuava a piangere sulla mia spalla, io guardavo le strade deserte di Colonia. Adesso inizio a sperare che la sveglia possa suonare al più presto.

<<Dai, smettila di piangere. Sai dirmi dove abiti? Così ti porto dai tuoi genitori.>>

La bambina smette di piangere quasi all’istante, una cosa che sanno fare solo a quell’età! Mi guarda dritto negli occhi e dice: <<Facciamo un patto! Andiamo insieme in ospedale, ti fai curare e poi mi porti a casa mia!>>

<<Ma sto bene! Davvero! Poi, ti prometto che vado in ospedale!>> Già sapevo che non avrebbe accettato, e non ci mette troppo a darmi la conferma.

<<No!! Devi andare a farti visitare!>> Mette le mani sui fianchi e inizia a tamburellare il piedino sul marciapiede. Quella piccola figura mi fa tornare il sorriso.

Così gli dico: <<Ok signorina! Sarebbe così gentile da indicarmi la strada per il più vicino nosocomio?>>

<<Il più vicino noso…che?>> ribatte lei.

<<Nosocomio significa “ospedale”!>>.

<<Ok! Andiamo!>> Mi offre la piccola mano e si incammina alla sua sinistra.

<<Ma, almeno mi dici come ti chiami?>> chiedo.

Lei si ferma all’istante, si gira e mi dice <<Non te lo ricordi?>>

Dal suo sguardo capisco che sta per piangere di nuovo. Perchè i bambini sono così lunatici?

<<No! Scusami! E’ solo che non me l’hai mai detto!>>

<<Marta!!>>

Adesso mi fermo io! Ecco, è un sogno, tutte coincidenze! E’ il mio inconscio che lavora.

<<Bel nome! E… dimmi una cosa Martina…>>

<<MARTAAAA!!!! Mi chiamo Marta non Martina!>>

Maledetto inconscio. Ci mancava anche questa! Meglio cambiare discorso.

<<E’ lontano l’ospedale?>>

<<No! Vieni!!>> E così inizia a saltellare come fanno tutti i bambini della sua età.

Continuammo a camminare per qualche minuto nella città deserta. Poi la piccola Marta dice:

<<Parlami di Serena! Come è? E’ bella? E’ una brava mamma?>>

<<E’ davvero bellissima, si! Ma non è mamma!>> rispondo io.

Lei mi guarda e chiede <<E perchè non è ancora mamma?>>

Bella domanda! Cosa le dico adesso? Dico che abbiamo provato più volte? Che la prima volta era lì per lì per nascere? Che doveva chiamarsi proprio Marta? Che Serena si innervosiva quando gli dicevo che da piccola avremmo potuto chiamarla Martina? Che i medici avevano salvato Serena per miracolo? Che non avremmo mai avuto un figlio? Cosa dovevo dire? Sono cose che non dovrebbe mai saper un bambino!

Perchè non mi sveglio? Perchè non suona quella maledetta sveglia? Quanto è lontano questo ospedale?

<<Siamo arrivati?>>

<<Perchè non ti senti bene?>>

No! Non piangere per favore! Questa volta non potrei reggere nemmeno io.

Invece lei fa un sorriso e dice <<No! E’ dietro quell’angolo! Vogliamo fare una corsa? Dai, è divertente!>>

Senza aggiungere altro, lascia la mia mano e inizia a correre.

<<Marta, non correre. Puoi farti male!>> Inizio a correre anche io. La raggiungo quasi subito e inizio a correre al suo fianco.

Le strade continuano ad essere deserte. Giriamo insieme l’angolo della strada e lì rimango impietrito.

Io e Marta non eravamo gli unici ad abitare Colonia! Avanti all’ingresso dell’ospedale c’erano delle persone. Oltre alle guardie e a qualche infermiere c’era un piccolo gruppo di persone che chiacchieravano tra loro.

Marta oramai era davanti a me di molti passi. Poi si accorge della distanza, si ferma e mi riprende per mano.

<<Vieni! Ci siamo!>>

Mi incammino con Marta verso l’ingresso dell’ospedale. All’interno c’è molto fermento, sembrava una puntata di E.R., infermieri che correvano in tutte le direzioni, gente che attendeva informazioni, gente che girava in tondo nervosa.

Marta sembrava sapere dove andare, evitava tutti gli infermieri. All’improvviso gira a destra e mi incita <<Vieni! Come sei lento!>>

Così preme il bottone di uno degli ascensori. Stranamente l’ascensore è già al piano. E’ proprio un sogno!

Marta preme il bottone per il secondo piano e poi mi chiede <<Sei preoccupato?>>

<<No! Che dici? Adesso mi dimetteranno subito! Non vedi che sono tutti indaffarati qui?>>

Lei fa una piccola smorfia e poi dice <<Devi essere forte!>>

Mi prende per mano nello stesso istante in cui le porte dell’ascensore si aprono.

Facciamo pochi passi insieme, poi mi giro a sinistra appena sento una donna singhiozzare. Riconoscerei quella voce tra un milione di voci. Serena era lì, in fondo al corridoio, seduta su una sedia che piangeva tra le braccia della sua migliore amica. Accanto a lei c’è anche Stefano con le mani sul viso, il marito della sua migliore amica.

<<SERENA!!!!>> Inizio a correre verso di lei nel momento in cui si aprirono delle porte facendo uscire una lettiga.

Serena si lancia sulla lettiga e urla <<L’ultima volta! Per favore! L’ultima volta, vi prego!>>

Arrivo nel momento in cui gli infermieri tolgono il lenzuolo bianco dal mio viso! Sono io su quella lettiga!

Serena ha una crisi di pianto isterico. L’amica l’abbraccia. Io non riesco a muovermi, ne a parlare.

Gli infermieri con la lettiga mi passano proprio davanti agli occhi e sento <<Poveretta! Lui l’ha salvata all’ultimo momento! Si è beccato il proiettile giusto in faccia!>>

Adesso capisco che non è un sogno. Sono davverto morto. L’unico conforto è che nell’aldilà riesco a capire tutte le lingue. Marta mi prende per mano e mi dice di andare, la seguo come fossi un automa. Marta si gira solo un’ultima volta verso Serena. Insieme la guardiamo allontanarsi con gli amici di una vita. Per sempre.

Marta tenendomi per mano appoggia il viso sul mio braccio e dice <<Hai proprio ragione papà! La mamma è bellissima!>>

Una notte indimenticabile


Era da un po’ che non scrivevo sul mio blog. Poi ho buttato giù in poco tempo una storia. E’ una breve storia horror, con un pizzico di fantascienza. Tutto condito con la solita ironia! Buona lettura…

Una notte indimenticabile

<<Allora quella bionda? Come era?>>
<< Quale delle tre?>>
Le solite esagerazioni di Luigi, chissà come aveva rimorchiato una bionda in discoteca e adesso erano già diventate tre.
<<Luì, posso capire che stavi mezzo ubriaco e ci vedevi doppio, ma addirittura vederne tre! Sempre il solito…>>
<<No! Davvero! Voi ne avete vista solo una! Le altre due ve le siete perse…>>
<<Vabbè dai allora raccontaci di tutte e tre ma non inventare troppo…>> dissi io.
Carlo, invece, era sempre il più silenzioso dei tre, lui non ci pensava nemmeno a rimorchiare. Aveva una ragazza fissa da circa sette anni. Si poteva quasi definire un prete senza tonaca. Spesso ci veniva il dubbio che non facesse nemmeno sesso con la ragazza.
Il racconto di Luigi cominciò:
<<Niente, c’era ‘sta tipa che al centro della pista che ballava in una maniera sensualissima, vicino a lei c’era…>> fece una pausa brevissima e poi gridò <<UN UBRIACOOOO!!!!>>
Per lo spavento che m’aveva fatto prendere sterzai di scatto sulla destra e poi controsterzai a sinistra quando mi accorsi che sul ciglio destro della strada c’era quest’uomo che barcollando si avvicinava sempre più al centro della strada.
Effettivamente non l’avevo proprio visto, i racconti di Luigi erano sempre divertenti e attiravano sempre l’attenzione di tutti, in più c’era anche la stanchezza della giornata di lavoro. Mi fermai una trentina di metri più avanti sulla destra, le quattro frecce erano state accese dai sistemi tecnologici dell’auto che avevano avvertito il pericolo. Feci tre respiri profondi. Servivano per far circolare meglio il sangue o per far calare la scarica d’adrenalina, oppure era solo un’altra cazzata dei film americani. Ma forse, solo per l’effetto Placebo di quel gesto, riuscì a calmarmi davvero.
Mi girai indietro per capire Carlo come stava, lui fece un gesto con la mano come per dire “Tutto ok!”; Luigi accanto a me stava bene, aveva solo detto <<M’agg’ cacat’ sott!!>>
<<Ragazzi, andiamo a vedere come sta quel tipo, io non l’ho colpito, sono sicuro al 100% ma è meglio vedere.>>
<<Vengo io con te>> disse Carlo, <<Luì tu rimani in macchina, nun s’ po’ mai sapè>> A volte era quasi fastidiosa la sua calma.
Facemmo pochi metri per raggiungere quell’uomo ubriaco. Poteva avere cinquant’anni come settanta, abiti vecchi ma tutto sommato puliti, una barba lunga e incolta. Si guardava attorno con circospezione e non sembrava per nulla spaventato dal pericolo che aveva passato un munito prima.
Quando mi trovai faccia a faccia con quell’uomo capì che in effetti non era ubriaco, era solo un senzatetto che brancolava per la strada. Oddio, forse qualche goccio l’aveva bevuto anche lui o era solo l’odore pungente che proveniva dai suoi vestiti a trarmi in inganno. Non sapevo come iniziare allora esordì con il classico <<Tutto bene?>>
Lui alzò le spalle e disse <<fino ad ora si! Perché?>>
Possibile che non si fosse accorto di nulla? Continuai <<Ehm, mi dispiace per prima, l’ho vista all’ultimo momento… però anche lei camminava quasi al centro della strada! Poi in prossimità di una curva… ecco dovrebbe stare più attento! Ma l’importante è che tutto è andato bene!>>
L’uomo rimase impassibile alle mie parole, ci guardava solo, prima me poi a Carlo poi di nuovo a me. Poi all’improvviso vidi una smorfia di disprezzo sul suo viso, lui alzò il braccio ed urlò <<Fuggite! Sciocchi!>>
Mi voltai verso Carlo e sussurrai <<E’ arrivat’ Gandalf!>>
<<Chi??>> chiese Carlo.
<<Vabbe’ lascia sta’>> Nemmeno Il Signore degli Anelli conosceva!
Mi voltai verso l’uomo che era rimasto col braccio alzato e dissi <<Adesso ce ne andiamo! Volevamo solo accertarci che lei stesse bene!>>
<<Dovete andare via! Qui rischiate la vita!>>
<<E’ normale! Stamm’ mmiez’ ‘a via! Facciamoci più dentro! Per favore>> Così appoggiai con cautela la mano sulla spalla sinistra dell’uomo e con l’altra mano mostrai il ciglio della strada.
L’uomo non fece un passo ne a destra ne in nessun’altra direzione. Rimase a guardare un punto imprecisato alle mie spalle.
Guardai Carlo con aria rassegnata, lui allargò le braccia come per dire “ Che ci posso fare?”
Mi voltai nuovamente verso il barbone e dissi <<Qui è pericoloso! Passa qualcuno e ci mette sotto!>>
<<Non ti devi preoccupare delle macchine! Non sono loro il pericolo!>> disse l’uomo.
In effetti le automobili non sembravano un pericolo in quel momento, anche perché dal momento in cui eravamo scesi dall’auto non era passata nemmeno un’automobile. La cosa era strana, era un sabato sera come tanti altri e di solito quella strada era abbastanza trafficata.
Mi passai la mano tra i capelli, fu un gesto nervoso involontario, non sapevo più cosa fare, così presi Carlo per il braccio e lo accompagnai sul ciglio della strada in un punto che mi sembrava sicuro. Alzai un po’ la voce per farmi sentire dall’uomo e dissi <<Qui non ci sono pericoli! Perché non viene qua e parliamo un po’?>>
<<Ma p’cchè nun ce ne jamm?>> Chiese Carlo.
<<Ma comm’ ‘o lass’ a chist’ ‘cca?>> Risposi. Carlo abbassò la testa e non disse nulla.
Mi voltai nuovamente verso il barbone e vidi che aveva puntato l’indice sull’altro lato della strada. Guardai in quella direzione, c’erano solo alberi e una terra incolta. Quando lui si accorse che aveva catturato la mia attenzione disse: <<Sono loro che vi vogliono uccidere!>>
<<Loro chi?>> Chiesi. <<Io vedo solo gli alberi!>> Lo dissi forse con troppa calma perché luì si adirò e non poco.
<Struuunz!>> disse. <<Ma come fai a non vederli? Stann’ la!>>
A quel punto sentii il rumore dello sportello della mia auto che si apriva e qualche secondo dopo si richiudeva. Luigi era sceso dall’auto e si stava avvicinando a noi.
<<Guagliù ce ne andiamo? Domani mattina devo lavorare!>> Disse.
<<Luì che ti devo dire? Adesso chiamo una ambulanza, o la polizia. Non lo posso lasciare qui!>>
<<Ma mo’ che sta indicando?>> Chiese Luigi.
<<Quelli che ci vogliono uccidere!>> Risposi io.
Luigi si girò di scatto verso il punto indicato dall’uomo. <<Ah?! Ho capito! “La notte degli alberi assassini”? Ma adesso come si sblocca?>>
<<E io che ne so? E’ rimasto bloccato così! Carlo digli qualcosa, io nel frattempo provo a chiamare una ambulanza>>
Mi avvicinai alla macchina, poggiai i gomiti sul tetto e composi il numero di emergenza per le ambulanze.
Vedevo che Carlo e Luigi erano riusciti in qualche modo a sbloccare il vecchio e discutevano pacatamente di qualcosa.
Il centralinista rispose.
<<Salve, come possiamo aiutarvi?>> disse.
<<Buonasera, qui c’è un clochard quasi al centro della strada, non vuole muoversi. Potrebbe essere pericoloso se rimane lì>>
<<L’uomo è vivo? E’ ferito? Vi sembra lucido?>>
<<Non è ferito! Almeno non mi sembra, è in piedi al centro della strada ma non vuole spostarsi. L’unico problema è che dice cose strane, vede degli uomini, delle cose… non saprei. Non mi sembra tanto ubriaco.>>
<<Allora, se non è ferito non posso mandarvi l’ambulanza! Vi mando una pattuglia della polizia perché, come dice lei, potrebbe essere pericoloso. Rimanga lì e aspetti la polizia. E’ da solo?>>
<<No! Sono con due amici>>
<<Ok, rimanete lì, rimanete calmi e tra due minuti arriva la polizia. Mi dia le sue generalità e il nime della strada in cui vi trovate.>>
Diedi tutte le informazioni in maniera quasi meccanica e nel frattempo osservavo la situazione grottesca che avevo davanti:
Luigi e Carlo che tentavano di comunicare a distanza con un barbone che aveva un piede sulla linea di mezzeria.
Ma le automobili? Dove erano?
Controllai il mio orologio. 3:40. Strano! Mi sembrava di aver controllato l’orario poco prima di uscire dalla discoteca e adesso sembravano essere passati solo due minuti.
Controllai l’ora sul cellulare: 3:40.
L’ora segnata dal display dell’auto: 3:40.
Volevo togliere quell’idea del tempo dalla mia testa. Maledetto me e la mia passione per i film di fantascienza. Ci mancava solo l’orologio fermo alla stessa ora. Mi incamminai lentamente verso il piccolo gruppo di persone. Iniziai a contare i passi: 1,2,3… sembravo un arbitro di calcetto che conta i passi per posizionare la barriera per una punizione. Solo che per strada anziché un arbitro sembravo un cretino. Cercavo di fare un passo al secondo. Arrivai accanto a Luigi.. 42 passi.
Contai nella mia mente fino a 30 per essere un po’ più sicuro. Controllai il cellulare: 3:40. Nulla! Non era passato nemmeno un minuto!
Nascosi il cellulare in tasca e chiesi <<Ragazzi che ora è?>>
Luigi sfilò il cellulare dalla tasca e disse <<Quatt’ manc’ venti. Precis’!>>
<<Anche a me>> Aggiunse Carlo. <<Perché?>>
<<No nulla, la polizia dovrebbe arrivare tra poco. Dobbiamo aspettare>>
Che cavolo stava succedendo? La situazione era troppo strana.
Tentai di pensare ad altro: <<Raga’ che vi siete detti di bello?>>
Luigi fece una smorfia con la bocca e poi disse <<Niente! Ci sono sempre “loro” che ci vogliono uccidere! Ah! La cosa bella è che vogliono uccidere noi! A lui lo lasceranno vivo!>>
<<Ah perfetto!>> Aggiunsi io con tono ironico. <<E perché poi?>>
<<Dice che non ce lo può spiegare! E’ un segreto!>> Mise l’indice davanti al naso e continuò << Shh non dirlo a nessuno!>>
<<E che so’ pazzo? Un segreto è un segreto!>>
Mi girai e trovai Carlo piazzato davanti a me che mi mostrava il display del suo cellulare, disse <<Da quanto tempo sono le 3 e 40? Quando te ne sei accorto?>>
Abbassai la testa e dissi. <<Ragazzi non ci spaventiamo inutilmente, sarà una coincidenza!>> non sapevo cos’altro aggiungere: <<I cellulari si sincronizzano con l’orario della rete>> abbozzai.
<<Anche il tuo orologio da polso?>> Chiese. <<Non vedi che si è bloccata pure la lancetta dei secondi?>>
<<La pila è mezza scarica! Si sarà finita di scaricare. A volte lo fa!>> Iniziai a picchiettare con l’indice sul cristallo dell’orologio. Stavo facendo una cosa stupidissima ma non sapevo cosa dire ai miei amici. Per fortuna fu Luigi a spezzare il mio silenzio.
<<Ragà! La polizia! >> E indicò la strada da cui eravamo passati pochi minuti fa, o zero minuti fa?
L’auto della polizia si fermò davanti alla mia, scesero due uomini in uniforme. Arrivarono dopo pochi secondi da noi.
<<Chi di voi ha chiamato?>> disse il primo.
Io alzai la mano.
<<Ok ragazzi, mentre il mio collega fa spostare il signore dalla strada, se cortesemente ci potete mostrare i vostri documenti. E’ solo una formalità, lo sapete, ma dobbiamo farlo>>
Tirammo fuori i nostri portafogli all’istante, nemmeno i pistoleri nei vecchi western avevano quella velocità. Il poliziotto li prese e si avviò verso la sua auto per fare i dovuti controlli. Intanto io osservavo l’altro poliziotto che con la dovuta calma tentava di togliere l’uomo dalla strada. Vedevo solo che faceva un cenno di dissenso con la testa e indicava i soliti innocui alberi dietro di noi.
Il poliziotto che aveva preso i nostri documenti già stava tornando verso di noi, si soffermò un attimo accanto al collega e al barbone e poi proseguì quel poco di strada che ci divideva.
Ci consegnò i documenti e disse:
<<Tutto ok. Per noi potete anche andare, ci pensiamo noi al signore. Grazie per la telefonata, non è da tutti>> ci voltò le spalle per raggiungere il collega e poi si rivolse nuovamente a noi:
<<Anzi no, ragazzi, per favore rimanete altri due minuti. Devo controllare dietro quegli alberi, mettetevi al riparo dietro la nostra auto. Per favore sedetevi a terra. Lo so che al 99% non c’è nessuno, ma devo controllare lo stesso e non posso lasciarvi andare con una minaccia di morte che vi pende sulla testa>>
Noi andammo a posizionarci dietro la macchina come aveva detto il poliziotto; nel frattempo quest'ultimo prese una grossa torcia dalla macchina, si diresse verso gli alberi con una mano già pronta sulla fondina, si fermò a pochi passi dagli alberi e illuminò la zona indicata dal barbone.
Come era facile pensare non c’era nessuno. Il poliziotto perlustrò un po’ la zona ma alla fine tornò indietro. Si rivolse a noi: <<Ragazzi via libera! Tornate a casa, sono le 3 e 40!>>
<<No!!!!! Non potete andare via!!! Ve lo impediranno!!!>> Iniziò ad urlare il barbone. I due poliziotti lo bloccarono e tentarono di calmarlo. Uno dei due ci fece cenno di andare via e poi si dedicò di nuovo al vecchio barbone.
Noi ci rimettemmo in macchina, io rimisi le chiavi nel cruscotto e subito notai l’orario riportato sul display. Come aveva detto il poliziotto un minuto fa, erano le 3:40!
Nessuno proferì parola. Avviai l’auto e ripresi la strada per casa.
La strada era quella, non mi aspettavo auto parcheggiate ne in marcia, c’era solo l’illuminazione stradale ad accompagnarci. La solita campagna a destra e a sinistra, la solita curva a gomito, il solito caseificio nel nulla. Frenai di botto facendo spegnere la macchina!
Il caseificio Bernotti!
<<Che c’è che non va?>> Chiese Luigi.
<<Il caseificio! Non dovrebbe essere qui! L’avevamo oltrepassato prima di trovare il barbone!>>
<<Sicuro?>> Chiese Carlo.
<<Ragà, si che sono sicuro! Abito a due kilometri da qui! Come faccio a non esserne sicuro?>> Posai la fronte sul volante. Feci tre respiri profondi. Rividi l’orologio: 3:40.
<<Aveva detto “Non potete andare via. Ve lo impediranno.”>> Disse Luigi.
<<Grazie Luì! Tu si che sai tirare su gli animi eh?>> dissi io.
Rimisi in moto la macchina, non guardai nemmeno nello specchietto retrovisore per vedere se giungeva qualcuno, continuai per duecento metri e mi ritrovai una curva davanti.
<<Questa è la curva dove abbiamo trovato il vecchio!>> dissi.
Decelerai e mi mantenni un po’ sulla destra. Feci tutta la curva con una rassegnazione nell’animo. Gli "alberi assassini" erano sempre lì, la polizia era andata via e il vecchio barbone era seduto a lato della strada, quasi al sicuro. Appena vide la macchina si alzò in piedi. Fece un largo sorriso e iniziò a salutarci a grandi bracciate.
<<Ragazzi finiamo 'sta storia!>> Accostai sulla destra e scesi dall’auto.
Mi avvicinai al barbone e urlai <<Allora? Che dobbiamo fare per tornare a casa? Chi diavolo sei tu?>>
Sentii Luigi e Carlo che scendevano dall’auto e si posizionavano uno alla mia destra e l’altro a sinistra.
<<Allora? Ti abbiamo fatto una domanda! Rispondi>> Disse Luigi.
Il vecchio calò la testa sul petto, chiuse gli occhi e disse <<Non lo so! Ancora non mi hanno detto nulla!>>
<<Chi ti deve dire qualcosa?>> chiese Carlo.
<<Le voci! Quelle che mi hanno mandato qua!>>
All’assurdo non c’era mai fine, non ne potevo più!
<<Ragazzi torniamo in macchina! Avrò sbagliato strada!>> Sentenziai.
Andai verso l’auto e mi accorsi che anche i miei due amici mi seguivano. Prima di entrare in macchina dissi: <<Ragà ve lo ricordate “Non ci resta che piangere” di Troisi e Benigni?>> tutti e due fecero “Si” con la testa e io continuai <<Bene. C’è quella scena in cui Troisi suggerisce a Benigni come tornare nel 1900. Dice qualcosa del tipo “domani mattina ci svegliamo, dobbiamo essere convinti di essere nel 1900, apriremo la porta e ci troveremo nel 1900!”, adesso non erano così le parole ma il senso era questo. Vi chiedo di fare così: ora ci sediamo in macchina, Luigi ci parlerà dell’approccio con la bionda e ce ne torniamo a casa. Convinti?>> Chiesi.
<<Convinti!>> dissero all’unisono.
Ci sedemmo in macchina, erano le 3:40 ma era normale! Eravamo appena usciti alla discoteca!
Avviai l’auto e mi incamminai verso casa.
<<Allora? Come è andata con questa bionda?>> Chiesi
<<Come vi dicevo, lei ballava in questo modo sensualissimo e accanto a lei c’era quest’altra ragazza che era un cesso incredibile!>>
<<Eccolo lì, per te le ragazze o sono stupende o sono un cesso! ‘na via di mezzo mai eh?>> Chiesi io.
<<No! Davvero era un cesso!>> Disse lui convinto.
<<Vabbè continua!>>
<<Allora mi metto a ballare anche io davanti alla bionda, lei mi sorride poi si gira e inizia a ballare con l’amica. C’aveva un culo a mandolino incredibile!>> Fece una piccola pausa, poi continuò <<Ad un cero punto dice una cosa all’orecchio dell’amica e ‘sto cesso si allontana da lei e inizia a ballare con me! Mi fa pure l’occhiolino!>>
<<Ecco, adesso inizia a piacermi la storia! E’ più realistica!>> dissi.
<<Comunque, ‘sta tipa mi dice nell’orecchio: “Ti hanno mai detto che ti muovi proprio bene?”>>
<<No! Perché sarebbe stata una bugia!>> dissi io ridendo.
<<Che coglione che sei!>> disse Luigi e continuò il suo racconto <<Io la ringrazio e gli chiedo il nome; dopo un po’ di battute idiote che non capivo anche perché la musica era forte, lei mi dice “Perché non mi offri qualcosa al bar? Non ne posso più di ballare”. Io allora le dico ”ma non vorrai lasciare la tua amica da sola? Fai venire anche lei!”>>
<<Ah bravo! L’amica non poteva essere lasciata da sola! Noi si?! Ci potevi chiamare! Vero Carlo?>> Mi girai a guardare Carlo per cercare risposta alla mia domanda e lo trovai che piangeva in silenzio, aveva il viso rigato dalle lacrime.
<<Carlo che c’hai? Stiamo tornando a casa!>> dissi
Accostai a destra e anche Luigi si girò a guardare.
<<Siamo passati almeno quattro volte per lo stesso punto! Il barbone è sempre lì!>> disse singhiozzando, poi continuò <<C’ho provato a fare come dicevi, mi sono distratto solo un attimo, ho guardato fuori e lui era lì! Sempre lì! Per quattro, cinque volte!>>
<<Vabbè ragazzi, nemmeno nel film aveva funzionato! Ci abbiamo provato…>> Diedi un pugno sul volante facendo suonare il clacson. Tanto nessuno si sarebbe lamentato.
<<Andiamo dal barbone e vediamo se "le voci" gli hanno detto qualcosa!>> disse Luigi.
<<Andiamo! Ci arriviamo in due minuti!>> disse Carlo
Riavviai l’auto e, in meno di un minuto, ritrovai il vecchio barbone.
Scendemmo tutti dall’auto Ci avvicinammo a lui e chiedemmo di nuovo:
<< Cosa dobbiamo fare per tornare a casa?>>
<<Ti hanno detto qualcosa?>> Aggiunsi io
<<Si! Come no! Mi hanno detto un sacco di cose! >> Rispose il barbone. Poi riprese <<Ho capito anche perché sono qui!>>
<<Vabbè taglia a corto!>> disse Luigi <<Che dobbiamo fare?>>
<<Pentitevi! Vi dovete pentire!!!!>> Urlò il barbone con l’indice rivolto verso l’alto.
<<Ricordati che devi morire!! Riiiicooordati che devi morire!!>> Disse Luigi tentando di imitare il personaggio di “Non ci resta che piangere”.
<<Fai poco il cretino! Tu sei il peggiore! Dopo facciamo i conti con te!>> disse il barbone. Poi puntò il dito contro Carlo e disse <<Tu! Fai schifo! Ma come? La tua ragazza vuole arrivare vergine al matrimonio e tu? Che fai? Vai almeno una volta a settimane a puttane?>>
<<Ma come ti permetti?>> Disse Carlo <<Non sono puttane! Sono escort!>>
<<Fottono comunque!>> urlò il barbone. <<Fai schifo! Diglielo a quella poveretta!! Che poi non la vuoi nemmeno più bene! Lasciala stare! Troverà sicuramente qualcuno più degno di te!!>>
Io e Luigi ci guardavamo increduli. Carlo si guardava i piedi e faceva solo "si" con la testa.
<<Glielo dirò!>> Alzò la testa e continuò <<Ammetto di aver fatto schifo. Ho fatto schifo per più di cinque anni! E’ vero! Però, per favore, facci tornare a casa! Domani la chiamo e le spiego tutto! Promesso!>>
<<Con te ho finito…>> Guardò in alto, fece un sorriso di intesa con qualcuno, poi continuò <<Adesso tu!>> Puntò l’indice verso di me.
Istintivamente feci un passo indietro e posai la mano destra sul petto. Come se l’indice mi avesse ferito.
<<Non ti fai schifo?>> Fece una smorfia con il viso <<Stai facendo perdere un sacco di soldi ai tuoi! Loro pagano l’Università e tu fai il cretino con tutte le ragazze del corso! Fai schifo! Fai un esame all’anno giusto per non partire per il militare!>> sentenziò.
<<No! In verità la leva militare l’hanno tolta…>> dissi
<<E fai ancora più schifo!!!>> Urlò
<<In verità>> dissi <<Io vorrei fare un’altra facoltà! Giurisprudenza non mi piace per niente! Vorrei fare Biologia. Sono pure più portato…>>
<<E vai a casa e diglielo ai tuoi! Mica so’ scemi quelli??>> Urlò di nuovo.
<<In verità, adesso che c’ho quel lavoretto, ho messo qualcosa da parte…>> feci una pausa e continuai <<potrei mantenermi io gli studi a Biologia, continuando però a lavorare! Oramai c’ho un età!>>
<<Bravo!!>> l’uomo sorrise e mi diede una pacca sulla spalla fortissima.
Io mi toccai la spalla dolorante e aggiunsi: <<Poi a Biologia pure so’ fighe!>>
Il barbone caricò un pugno in direzione del mio viso e disse <<Non scherzare che ti stendo!>>
<<Scusa! Era una battuta!>> Ci mettemmo a ridere tutti. Poi il barbone puntò il dito verso Luigi ed esclamò <<Tu non ridere! Tu fai più schifo di tutti!>> Fece una smorfia di disprezzo guardandolo dalla testa ai piedi. Poi alzò la testa di scatto e lo sputò in pieno viso.
Io mi mossi verso il barbone e disse <<Ma che cazzo fai! Chi sei tu per sputarlo in faccia?>>
<<Ascolta quello che ho da dire e poi mi affronti!>> Disse il barbone. Si rivolse di nuovo verso Luigi e chiese <<Da quanto tempo non vedi tuo padre?>>
<<Coglione è morto da una vita il padre!>> disse Carlo.
<<Zitto tu!>> disse il barbone, si rivolse nuovamente verso Luigi e continuò <<Allora? Da quanto tempo non vedi tuo padre?>>
Luigi guardò prima il barbone poi me e poi Carlo, sospirò e disse <<Ragazzi, non vi ho mai detto la verità su mio padre! Tanti anni fa, quando io avevo quattro anni, mio padre fu licenziato dalla fabbrica in cui lavorava e… >> Fece una pausa, si asciugò una lacrima e continuò: <<cominciò a bere, tanto, davvero tanto! Iniziò ad essere violento. Tutto ciò per quasi un anno, poi mia madre una mattina fece cambiare la serratura dell’ingresso di casa, riempì due borse degli effetti di mio padre e attese il suo ritorno. Appena lo vide arrivare gli lanciò le due borse in strada e chiuse la finestra.
Quella notte la passai sotto al letto di casa mia, con le mani davanti alle orecchie per non sentire le urla di mia madre in casa e di mio padre fuori dalla porta.
La mattina dopo mi svegliai sul mio letto con mamma accanto. Aveva il volto rigato dalle lacrime. Appena mi svegliai lei mi abbracciò e disse “è tutto finito! Nessuno ci farà del male! Mai più”>> Luigi scoppiò a piangere e si sedette sull’asfalto.
<<E poi? Continua! Fin qui non hai nessuna colpa ragazzo!>> disse il barbone.
<<Quando poi andai alle scuole medie…>> continuò Luigi tra un singhiozzo e l’altro <<c’era un barbone, era proprio di fronte all’ingresso della scuola, dall’altra parte della strada.>> Luigi sospirò e prese il fazzolettino di carte che Carlo gli aveva dato nel frattempo, si asciugò un po’ gli occhi e continuò <<Quel barbone era mio padre! Non l’ho mai salutato, non l’ho mai degnato di uno sguardo, di un saluto…>>
<<Poi?>> Il barbone non gli dava tregua.
<<Così, per tutti i giorni della mia vita, si fece trovare davanti alla scuola media, poi davanti al liceo che frequentavo e adesso davanti all’Università!>>
<<Cioè mi stai dicendo che il barbone davanti all’Università è…>> Luigi interruppe Carlo e disse <<Si! E’ lui!>>
<<E dimmi Luigi…>> chiese il barbone <<quella volta che lo prendesti a calci solo perché si era avvicinato e ti aveva posato una mano sulla spalla?? Perché non ce lo racconti?>>
<<No!!! Non volevo! Non volevo!!!>> mentre lo diceva, si stese su un fianco e cominciò a dare pugni sull’asfalto. Pugni forti, dopo i primi pugni iniziò a rompersi le nocche ma non si fermò, fu il barbone a bloccargli il polso. <<Adesso basta!>> disse il barbone. <<Mi sembri abbastanza pentito!>> si accovacciò davanti a lui, gli prese la testa tra le mani e continuò <<Ti ho chiesto, da quanto tempo non lo vedi?>>
Luigi ci pensò un attimo e disse <<saranno un paio di mesi, si qualche mese…>> guardò Carlo per avere conferma.
Carlo disse <<Si, in effetti è qualche mese che non si vede più!>>
<<E non si vede più perché è stato molto male!>> disse il barbone <<Molto, molto male! Fino a tre giorni fa!>>
<<E adesso?>> Chiese Luigi speranzoso.
<<Adesso è morto! Da solo! Come un cane!>> Gli strinse un po’ di più la testa tra le mani e poi avvicinò il suo viso a quello di Luigi <<Lui ti voleva bene! Non ti ha mai abbandonato! Ha provato anche ad avvicinarsi e tu l’hai preso a calci! Ha provato a sorriderti a salutarti con la mano, a darti un briciolo del suo amore! Ma tu nulla! Un pezzo di ghiaccio! Che cazzo c’hai al posto del cuore?>> Gli sputò di nuovo in viso. Lo sputo si diluì subito tra le lacrime di Luigi.
Il barbone si alzò, guardò in alto, fece un sorriso e disse <<Adesso potete andare a casa! Si è pentito anche lui! Lo so!>> Si avviò verso il ciglio della strada, mentre si stava allontanando si girò di nuovo e disse <<Andate a casa, avete via libera! Non c’è mai stato nessuno tra gli alberi! E’ tardi! Guardate che ora è!>> e si allontanò dalla nostra vista.
Io alzai il braccio destro e vidi che la lancetta dei secondi aveva ricominciato a camminare. Dovevano essere le 3 e 41 minuti circa.
Carlo controllò il suo smartphone e disse <<Si! Ce ne possiamo andare! 3 e 41.. 42 adesso!!>>
Aiutammo Luigi ad alzarsi dall’asfalto, lo facemmo accomodare in macchina ed io lo aiutai a mettere la cintura di sicurezza.
Non dicemmo nemmeno una parola per tutto il tragitto.
Accompagnai prima Carlo a casa. Poi Luigi che volle salire a casa con le proprie gambe. Aspettai qualche minuto sotto casa sua. Non accadde nulla finchè non mi arrivò un messaggio su Whatsapp. Era proprio Luigi che diceva “Puoi andare! Qui va tutto bene! Grazie!”.
Rimisi in moto la macchina e in cinque minuti arrivai a casa. Parcheggiai la macchina nel box.
Salii in ascensore, mi guardai per tutto il tempo nello specchio, non avevo una bella cera, ero stanco come se non avessi dormito per tre giorni. L’ascensore arrivò al piano. Uscii e cercai le chiavi di casa, Le trovai, ma prima che potessi infilarle nella serratura la porta si aprì. Era mio padre in pigiama. Disse <<Ti ho sentito arrivare. Che ci vuoi fare? Stanotte fa troppo caldo! Non riesco a chiudere occhio!>> io sorrisi, feci per entrare e lo abbracciai forte! Non so da quanto tempo non facevo questo gesto. Lui rimase un po’ stupito, poi mi abbracciò anche lui e disse <<Che è successo figliolo?>>
<<Niente!>> dissi. Gli scompigliai con la mano quei pochi capelli che gli restavano e aggiunsi <<volevo solo dirti che… ti voglio bene!>>.

I Muse saranno nuovamente in Italia!


Sono state ufficializzate le date del prossimo tour dei Muse, ci saranno anche due date italiane: 

16/11/2012 – Unipol Arena, Bologna.
17/11/2012 – Adriatic Arena, Pesaro.

Fonte: http://muse.mu/news/article/781/uk–european-tour-announced/

Il nuovo disco dei Muse uscirà ad Ottobre


Come avevo già accennato, il nuovo disco dei Muse è in fase di lavorazione e sembra che la sua uscita sia prevista per Ottobre del prossimo anno.

Fonte: rockol.it